ALFREDO MANTOVANO

Deputato a Parlamento italiano
Responsabile di AN per i Problemi dello Stato


ABOLIRE LA COMMISSIONE ANTIMAFIA

 

A che cosa serve la Commissione parlamentare Antimafia? In teoria e in base a quanto è scritto nella legge istitutiva, dovrebbe studiare in modo organico l'evoluzione del fenomeno criminale di tipo mafioso, secondo una visione d'insieme che necessariamente sfugge agli accertamenti giudiziari (questi ultimi, pur trovandosi talora di fronte a realtà associative ampie, riguardano pur sempre la individuazione della responsabilità dei singoli imputati coinvolti nel singolo giudizio); dovrebbe inoltre fornire una valutazione di ordine politico, con particolare riferimento ai collegamenti, ovviamente non ipotetici, fra le varie mafie, l'economia, la finanza e la politica. Tutto questo è accaduto negli anni passati? E soprattutto, accade oggi?

Nel turbine delle polemiche seguite alla conclusione in primo grado del processo a carico del sen. Andreotti, questi interrogativi non dovrebbero sfuggire. E vengono certamente prima delle formali richieste di dimissioni nei confronti del past president dell'Antimafia, che seguono a stretto giro le formali richieste di dimissioni nei confronti di magistrati che hanno avuto ruoli importanti nel processo di Palermo. Due sono i dati salienti della relazione su mafia e politica, approvata il 6 aprile 1993 dalla Commissione guidata dall'on. Violante.

Il primo attiene alla maggioranza che la votò. Come ha ricordato l'attuale presidente della Camera, si trattò di una maggioranza larghissima, che comprendeva anche la DC e il PSI. E non soltanto votò, ma motivò il voto; giova rileggere la dichiarazione di voto pronunciata a nome della DC dall'on. Clemente Mastella: "io spero che con la nostra adesione, la nostra adesione convinta (…) alla relazione Violante si possa far finalmente giustizia di quella stupida equazione per cui l'interfaccia della mafia si è fatto apparire o si vorrebbe far apparire strumentalmente raffigurato nella democrazia cristiana"; non si comprende se l'"adesione convinta" derivasse dalla effettiva lettura della relazione Violante o dal desiderio di esorcizzarla, schierandosi a favore, nella parte relativa alla "stupida equazione"! Chi peraltro, dalle file della DC, avanzò dubbi su alcuni passaggi della relazione non realizzò il massimo della coerenza fino alla fine; la sen. Fumagalli Carulli, prima in assoluto al foto finish delle congratulazioni al sen. Andreotti dopo la lettura del dispositivo di sabato scorso, nella discussione sulla relazione Violante aveva in effetti parlato di "cultura del sospetto" e della necessità di rettificare taluni passaggi del testo. Ma poi, probabilmente impegnata nella memoria di Ponzio Pilato, pensò bene di assentarsi al momento del voto della relazione. Dichiarazioni di più o meno ampia condivisione furono rese anche dai parlamentari del PSI. Quello che latita oggi, come latitò all'epoca, fu il coraggio: chi riteneva era un atto di accusa all'intera DC non fu torturato al momento del voto; pensò bene in questo modo di salvare sé stesso da un'accusa di mafia; si comportò da vile. E vile si conferma oggi, avendo atteso quasi sette anni per prendere le distanze da quel testo.

Il secondo attiene al merito. La relazione Violante fu l'equivalente di un disco verde alla magistratura inquirente di Palermo, che proprio in quei giorni avanzava al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Andreotti. Fu nei fatti, al di là delle espressioni adoperate nel testo, un atto di delega della politica all'autorità giudiziaria, cui fu demandato l'accertamento della mafiosità del capocorrente di Lima e dei fratelli Salvo. Fu quindi un atto di rinuncia della politica, e nella specie della Commissione Antimafia, a valutazioni del tutto autonome sulla consistenza del fenomeno mafioso e sui suoi collegamenti con la politica. Fu un fallimento del centro sinistra, Pds incluso, che all'epoca aveva la maggioranza nella Commissione; soltanto i radicali, con Taradash e ilo Msi-Dn, con Matteoli e Florino, si dissociarono, presentano due relazioni di minoranza.

Palazzo S. Macuto, dicembre 1996. Si insedia la Commissione antimafia della XIII legislatura. Candidato favorito alla presidenza è il sen. Arlacchi; il quale tuttavia, entrato presidente, ne esce (sbattendo la porta) parlamentare dimissionario; il Pds, e gli altri del centrosinistra al seguito, gli preferisce il sen. Del Turco. Come mai? La sinistra ha vinto le elezioni, anche grazie alla demonizzazione giudiziaria dell'avversario politico (la DC nel 1994, Forza Italia nel 1996). Non c'è più bisogno del concorso attivo, e spesso non consapevole, dei p.m. più ultras; la rivoluzione (giudiziaria) è finita, la parola d'ordine è "normalizzazione". E quale emblema più adeguato all'immagine di un ritorno alla normalità di uno dei pochi socialisti di rilievo scampati al ciclone giudiziario? In questi giorni la Commissione Antimafia porta a compimento la sua rivoluzione copernicana: sei anni fa, col sostegno dei partiti del centro e della sinistra, diede il più formidabile contributo politico al processo chiave per la disintegrazione della Prima Repubblica. Oggi il suo presidente, eletto e sostenuto dai partiti del centrosinistra, non solo attende la sentenza di Palermo per lanciare strali al suo predecessore, ma fa di più: definisce l'on. Craxi "un uomo politico di primo piano del nostro paese, un uomo che da presidente del Consiglio ha onorato questo paese", parla di "accanimento" usato nei confronti dell'ex leader del PSI, e aggiunge che "la prima Repubblica è morta inseguendo l'improbabile: i conti di Craxi e i vassoi di Andreotti" (sic). Non sono soltanto parole: la sua gestione dell'Antimafia è soporifera; tranne poche eccezioni, tre anni di attività sono coincise con inutili passerelle (dette anche audizioni) di personaggi che in Commissioni dicono le stesse cose che hanno detto qualche giorno prima ai mass media e in altrettanto inutili sopralluoghi in zone individuate in base alla grandezza dei titoli dei giornali.

La Destra non ha condiviso nel 1993 la relazione Violante, al punto da averne proposta una alternativa. Nell'attuale Antimafia svolge un ruolo attivo e propositivo, che spesso si infrange sul muro di gomma della normalità post-tangentizia. Per questo è legittimata a chiedere l'abolizione della Commissione: in passato strumento di orientamento dell'azione giudiziaria, oggi giocattolo inutile che serve a dare autorevolezza alle implicite richieste di amnistia formulate da chi la presiede. Il tutto con contorno di spese di ufficio, di consulenti, di trasferte. Abolire la Commissione Antimafia sarebbe un segnale di dignità della politica

 Alfredo Mantovano

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