ALFREDO MANTOVANO
Deputato al Parlamento italiano
RESPONSABILE DI A.N. PER I PROBLEMI DELLO
STATO

 


Interventi sulla stampa

 

Pubblicato su Italia Oggi il 5  luglio 2000

La pace nelle carceri ma non la guerra nelle città
(titolo provvisorio)


Nell'ottica della riflessione, sollecitata dall'Anno giubilare, sulla condizione di chi, in Italia e nel mondo, è detenuto in un istituto di pena, l'oggetto del dibattito dovrebbe essere la vivibilità nelle carceri, e quindi l'individuazione degli strumenti per attenuare il disagio presente dietro le sbarre. Fra questi strumenti non va escluso di principio, pur con tutta la prudenza da esercitare in concreto, un provvedimento di clemenza. Invece il dibattito ha, per lo meno inizialmente, capovolto l'ordine logico. Si è detto: variamo subito l'indulto, o l'amnistia, o entrambi, per decongestionare l'affollamento carcerario, e questo costituirà il viatico di ulteriori interventi sugli istituti di pena. In questi termini il raggiro è oggettivamente dietro l'angolo; fino a quando la maggioranza necessaria per l'amnistia e l'indulto non è stata portata a 2/3, e cioè fino all'inizio degli anni 90, ci si è trovati ogni tre-quattro anni di fronte alla seguente sequenza: carceri che scoppiano, richiesta del provvedimento di clemenza, concessione dello stesso, qualche migliaio di detenuti in libertà, nessun intervento strutturale, dagli otto ai dodici mesi di tempo per riempire nuovamente i penitenziari e tornare al punto di partenza. E' possibile non assistere alla replica della sceneggiata?

Facendo seguito alle richieste dell'opposizione, e in particolare di Alleanza Nazionale, il ministro Fassino ha riassunto in sei punti il suo piano per le carceri. Quattro passaggi meritano apprezzamento: sono quelli che riguardano l'edilizia penitenziaria, il rafforzamento delle strutture per il reinserimento e il recupero dei detenuti,l'incremento degli educatori e della polizia penitenziaria, le nuove assunzioni dei magistrati e del personale amministrativo della giustizia. E' però indispensabile conoscere i tempi per il varo di queste misure e l'entità della copertura finanziaria: il Dpef si limita a parlare di "maggiori dotazioni finanziarie" da destinare in questa direzione, ma Palazzo Chigi finora non ha precisato la consistenza delle risorse per renderle operative, e non ridurle al rango di meri annunci. Vanno invece chiariti gli altri due punti,relativi all'espulsione degli immigrati condannati e al "miglioramento" delle leggi Gozzini e Simeone: come assicurare che i primi siano effettivamente presi in carico dai paesi di provenienza e non tornino entro 24 ore, fruendo delle imbarcazioni che solcano l'Adriatico e il Mediterraneo? "Miglioramento" dell' ordinamento penitenziario vuol dire ulteriore lassismo nella concessione dei benefici? Per questo l'insieme di interventi annunciati dal ministro Fassino costituirà una base di discussione solo nel momento in cui sarà tradotto in disegni di legge o in atti amministrativi, con adeguata copertura finanziaria: ciò per evitare al "pacchetto Fassino" la medesima sorte del "pacchetto Flick", e cioè un insieme di proposte la gran parte della quale sono rimaste sulla carta.

In presenza di quelli che al momento rappresentano soltanto delle pur apprezzabili intenzioni, amnistia e indulto rischiano, come per il passato, di essere approvati senza ciò che è stato definito il "collegato". Serietà impone invece che al centro della discussione ci sia proprio il "collegato", alla stregua del quale si verificherà se e in che misura si attenueranno le forti perplessità che Alleanza Nazionale nutre verso un provvedimento generalizzato di clemenza. Già il mero annuncio di quest'ultimo costituisce un incentivo a delinquere: non si sono mai costruite tante case abusive quanto in prossimità del varo del condono edilizio (analogo discorso vale nell'attesa di amnistie e di indulti). Ma, se questi elementi rientrano nella categoria dei rischi, e quindi delle ipotesi probabili, esistono delle certezze,derivanti soprattutto dall'indulto. Chi sia condannato oggi alla pena di sei anni di reclusione, in presenza di un indulto che gliene abbuona tre (secondo la proposta di legge dell'on. Pisapia), sarà rimesso in libertà. Infatti, quando restano tre anni da espiare, la combinazione fra la "Gozzini" e la "Simeone" provoca l'automatica sospensione della pena, in attesa dell'affidamento in prova al servizio sociale. Sanzioni penali che vanno dai cinque ai sei anni di reclusione sono ordinariamente irrogate per rapine a mano armata, estorsioni aggravate, tentati omicidi, attività di consistente spaccio di droga, violenze carnali. Sono i responsabili di questi delitti una parte consistente di coloro che fruiranno del condono. In assenza di personale e di strutture che garantiscano l'avviamento al lavoro, che cosa faranno tanti di loro?

Questo per non parlare dell'apparenza (e non solo dell'apparenza) di schizofrenia che viene fuori dalla circostanza che è pur sempre all'ordine del giorno della Camera - benché rinviato a settembre - il "pacchetto sicurezza" del Governo, in base al quale chi viene condannato in grado di appello (e quindi in presenza della presunzione di non colpevolezza) a 4 anni e un giorno di reclusione va subito in carcere, mentre il sen. Manconi propone l'indulto per chi è stato condannato in via definitiva a una pena fino a 4 anni!

L'attenzione seria e concreta per la vita all'interno delle carceri non può mai disgiungersi da quella relativa alla vita del comune cittadino. In Italia ogni anno il 90% dei reati resta impunito; fra il 1993 e il 1997 (ultimo anno disponibile quanto a statistiche, ma prima della legge Simeone-Saraceni) il 79% per cento delle pene detentive irrogate non sono state eseguite in carcere per il concorso di sospensioni e di misure alternative: dunque, soltanto il 2% degli autori dei reati - noti e ignoti - va in carcere. La nostra Nazione ha, in proporzione alla popolazione, fra le meno elevate quantità di detenuti: sono 700 ogni 10.000 abitanti in Russia, 600 negli USA, 339 in Gran Bretagna, 119 in Spagna, 86 in Italia. Responsabilità della politica non è quella di ridurre ulteriormente la quota di quegli 86, ma di fare in modo che vivano la loro pena civilmente. La pace nelle carceri non può essere perseguita incrementando la guerra nelle città.

On. Alfredo Mantovano

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