ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su Avvenire (Sezione: Oggi Italia Pag. ) |
Giovedi 02 marzo 2006 |
Giovanni Ruggiero
PUNIZIONE E RECUPERO Le risorse a disposizione non sono sufficienti: i finanziamenti non tengono conto che negli ultimi vent’anni il numero dei reclusi è raddoppiato Vittorio Nozza Caritas): serve più prevenzione Se il carcere diventa malattia
Da Roma La malattia del carcere si chiama carcere. Non è un gioco di parole né rassegnazione, ma la presa d'atto che la prigione genera di per sé disagio e quindi malattia e sofferenza. Non è una diagnosi rassegnata, perché la sensibilità degli uomini e poi i richiami delle leggi impongono di fare sempre meglio. Come si manifesta la malattia chiamata carcere? Si manifesta con il numero dei detenuti. Sono 59.523 quando i penitenziari italiani ne potrebbero ospitare 43 mila. Tutto il resto è a cascata. Sono onesti Sebastiano Ardita, direttore generale dei detenuti e del trattamento, e Giovanni Tinebra, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, quando non si trincerano dietro alle parole. E sono credibili quando dicono che si sta facendo il possibile e che bisogna fare sempre meglio. Senza giri di parole: «Siamo consapevoli - ammette Ardita - di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle norme vigenti e dal recente regolamento penitenziario». La foto delle carceri la daranno i numeri che si riferiscono ai suicidi, agli ammalati di aids, ai tossicodipendenti. Sono il risultato, per seguire Ardita, della scarsità delle risorse destinate a questo pianeta di sofferenza: i finanziamenti non tengono conto che negli ultimi 20 anni il numero dei detenuti italiani è raddoppiato. E stanno male, perché un conto è curarsi fuori e un conto è farlo dietro le sbarre. Un solo dato: chi sta in cella sta peggio di chi sta fuori. Il 13 per cento dei detenuti (vale a dire 7.800 persone) ha uno stato di salute compromesso, contro il 7 per cento della popolazione libera. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, che non era presente al convegno promosso dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria sulla salute nel carcere, ha però spiegato in un messaggio l'impegno del governo. «Non è mancato neppure - ha aggiunto - l'impegno del dicastero verso il mondo politico al fine di sensibilizzare le Regioni, nonché il sevizio sanitario nazionale, sulle problematiche legate alla medicina penitenziaria al fine di favorire rapporti di collaborazione tra i diversi enti». Sul tappeto c'è la questione sovraffollamento. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, e il sottosegretario gli Interni, Alfredo Mantovano, difendono il recente decreto sulle tossicodipendenze, e dicono che è anche uno strumento che limita la carcerazione. Opinione contestata da chi ritiene che la norma avrà esattamente l'effetto contrario. L'appello per migliorare il carcere è rivolto a tutti: politici, ma anche operatori sociali. Monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani penitenziari, si chiede ad esempio se è pensabile una giustizia in termini positivi che consideri la pena soltanto una estrema ratio. E don Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, suggerisce di andare a monte, intervenendo sul territorio che spesso è la causa del primo disagio e quindi della tentazione a delinquere. Anche il convegno ha denunciato una brutalità, ed è una denuncia non nuova: la presenza dei bambini dietro le sbarre di età sotto i tre anni che seguono il destino delle mamme detenute. Dalla sala parto alla cella di un penitenziario. Sono almeno 50 i bambini che ogni anno vivono in questa situazione. È uno scandalo dimenticato, e basterebbe poco per rimediare. La denuncia ultima è di Angela Finocchiaro, responsabile Giustizia dei Ds: «Per questi bambini non si riescono a trovare, a causa delle ristrettezze economiche, delle misure alternative al carcere».
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