ALFREDO MANTOVANO
Deputato al Parlamento italiano
RESPONSABILE DI A.N. PER I PROBLEMI DELLO
STATO

 


Interventi sulla stampa

 

Pubblicato sul mensile Chartaminuta agosto-settembre 2000

4 anni di Giustizia dell'Ulivo

LA GIUSTIZIA DEL CURATORE FALLIMENTARE


La riforme annunciate e non realizzate.Il programma per la giustizia dell'Ulivo era ambizioso e copriva i principali punti di crisi dell'universo giudiziario, tentando di fornire per ciascuno di essi una risposta: temi sui quali il centrosinistra, alla vigilia delle elezioni politiche del 1996, scommetteva parecchio, trattandosi di questioni molto avvertite, che incidono nella vita quotidiana dei cittadini. L'Ulivo intendeva mostrarsi capace di affrontare e di avviare a soluzione i mille problemi del settore, senza ritenere di essere condizionato da vicende personali. L'investimento dell'Ulivo ha riguardato non soltanto il rilievo centrale dato alla questione giustizia nel proprio programma per il Governo, ma pure il profilo dei soggetti messi in campo per conseguire gli obiettivi: primo fra tutti il prof. Giovanni Maria Flick, stimato e apprezzato al di là degli schieramenti, presentato come il tecnico che, in un esecutivo prevalentemente politico - quindi teoricamente senza problemi di maggioranza alle spalle -, avrebbe fornito l'apporto di qualità adatto per dare una svolta al settore. Il prof. Flick, a distanza di poche settimane dall'insediamento in via Arenula, in coerenza col programma elettorale, aveva illustrato il suo "pacchetto" per la soluzione dei mali della giustizia, costituito da circa 20 disegni di legge, idonei, secondo le intenzioni, ad affrontare i principali punti di crisi del sistema.

La scommessa del centrosinistra è stata vinta o è stata persa? In quattro anni sono cambiati tre Guardasigilli, il prof. Flick, l'on. Diliberto e l'on. Fassino, ciascuno con caratteristiche personali e politiche differenti, segno evidente della ricorrente necessità di mutare il cavallo mentre la corsa è in atto, perché il ministro di volta in volta sostituito non ha fornito garanzie di efficacia. Molti degli obiettivi previsti non sono stati conseguiti, altri lo sono stati sulla carta più che nella realtà. Proviamo a fare una ricognizione, anche per capire da che punto del pianeta giudiziario dovrà ripartire il Polo, se avesse la ventura di vincere le elezioni politiche: un po' come ci si regola nella procedura fallimentare, nella quale la relazione del curatore prende le mosse dall'inventario dei beni esistenti e del loro valore, e rappresenta l'avvio per tentare il recuperare quanto è stato (si spera solo in parte) compromesso.

Le forze in campo. Esercitando una delega contenuta nella prima legge Bassanini, il governo dell'Ulivo ha innovato la disciplina del concorso per accedere alla magistratura. Il risultato concreto è che, mentre in precedenza ogni 10 - 12 mesi entravano in magistratura dai 200 ai 300 uditori giudiziari, l'esecutivo di centrosinistra è riuscito a paralizzare gli ingressi: da più di tre anni non c'è più un solo nuovo magistrato. Ciò dipende dal fatto che le prove del concorso sono state fatte precedere da una preselezione informatica, che il ministero della Giustizia, pur avendo fortemente insistito perché fosse introdotta, si è dimostrato incapace di gestire; i quiz, che avrebbero dovuto riguardare il diritto civile, il diritto penale e il diritto amministrativo, sono coincisi col solo diritto civile. Non riuscendo nemmeno a predisporre i test per quest'ultima prova, il ministero ha preso in prestito i quiz esistenti per il concorso di notaio (che esige una preparazione orientata diversamente). L'improvvisazione è stata tale che i Tar e il Consiglio di Stato sono intervenuti ripetutamente, ritardando le prove scritte, in attesa della definizione della preselezione. Il dato più grave è che l'aspirante giudice, piuttosto che rispondere ai canoni di giovane preparato e pronto a ragionare sulle questioni di diritto, si è visto costretto a trasformarsi in una sorta di concorrente del "rischiatutto". Il nozionismo, scacciato dalla porta, è stato reintrodotto dalla finestra, e nel peggiore dei modi. L'organico limitato della magistratura ordinaria, reso ancora più contenuto dall'incapacità di immettere nuovi magistrati, ha moltiplicato le figure di giudici onorari, che oggi sono numericamente superiori rispetto a quelli di carriera: senza generalizzare (tanti giudici di pace e tanti giudici aggregati sono preparati e lavorano bene), non può però disconoscersi che il livello medio dei magistrati non professionali è basso; che la loro produttività è scarsa; che il prodotto per gli utenti è scadente; che le ragioni di incompatibilità sono frequentissime

Il giudice unico. Uno dei fiori all'occhiello dell'Ulivo è stata la riforma del giudice unico, presentata come un passaggio di epoca, quasi come l'invenzione della stampa e della polvere da sparo. La razionalizzazione degli uffici giudiziari era necessaria: la divisione di competenze fra pretore e tribunale, e fra le rispettive procure, non aveva più senso. Il torto del centrosinistra è di aver realizzato l'accorpamento dei differenti giudici di primo grado senza adeguati investimenti finanziari: è facile stabilire con un tratto di penna che al posto di un collegio giudicante composto da tre magistrati esistono tre distinti giudici monocratici. Non è altrettanto facile immaginare che la produttività per ciò stesso si triplichi, se non si moltiplica per tre il numero degli assistenti giudiziari, degli addetti alle notifiche, dei dirigenti di cancelleria, degli spazi a disposizione per tenere le udienze. Ciò che puntualmente non è avvenuto: solo oggi, a distanza di tre anni dall'approvazione della riforma, cominciano a essere assunti i vincitori dei concorsi per i ruoli amministrativi della giustizia. Ma sono pochi rispetto alle esigenze effettive: tanto che spesso li si surroga con l'assunzione a tempo determinato dei lavoratori socialmente utili. Il bilancio dell'unificazione degli uffici è paragonabile a quello di un cataclisma: ci sono magistrati sommersi di fascicoli, che non sanno da dove iniziare, altri che hanno perso i posti che avevano prima e continuano a vagare privi di funzioni, cataste di carte che corrispondono a processi per reati già prescritti o prossimi alla prescrizione, uffici che sembrano depositi di carta straccia invece che stanze funzionalmente adibite all'amministrazione della giustizia. L'informatizzazione del sistema continua a essere limitata a uffici campione, mentre i computer sono dispersi senza criterio, e quindi senza una rete che li colleghi.

La professionalità dei giudici. Per concludere sui magistrati, il "pacchetto Flick" comprendeva anche due disegni di legge sulla verifica del lavoro dei giudici, sul loro avanzamento in carriera e sulle incompatibilità. E' rimasto sulla carta, per l'incapacità politica dell'intera maggioranza di condurlo a compimento. Oggi continuano a esistere magistrati che lavorano 12, e talora più, ore al giorno; e magistrati (non i più, per fortuna) che non lavorano neanche 12 ore al mese. Mentre le professioni più delicate vanno incontro a periodici esami di produttività e di qualità, la funzione del giudice, dal cui esercizio dipende la fortuna e talora anche la vita delle persone, è soggetta esclusivamente a valutazioni di ordine disciplinare: nel bene e nel male, il magistrato che non lavora bene fa i conti con la discrezionalità - tanto estesa da rasentare l'arbitrio - dei titolari dell'azione disciplinare e della sezione disciplinare del C.S.M.. E tuttavia non esiste soltanto l'aspetto patologico dell'esercizio della funzione. Prima di arrivare alla sanzione disciplinare, può essere utile capire quali sono i criteri per valutare se e come lavora un giudice, per decidere la sua progressione in carriera, per fissare un tetto massimo di permanenza in una funzione e in un ufficio direttivo. L'Ulivo aveva la pretesa di definire tutto ciò. Non ha avuto la capacità né la volontà di farlo.

Il giusto processo. Il processo penale ha subito nell'era dell'Ulivo una riforma significativa con l'approvazione della legge costituzionale sul giusto processo, fortemente chiesta e sostenuta dal Polo. E' però un riforma monca, poiché non è stato ancora varato il complesso di norme ordinarie di attuazione dell'importante modifica. Esso manca a causa delle divisioni interne alla maggioranza, che hanno indotto il Senato a elaborare un testo, che è stato profondamente innovato alla Camera, e la cui approvazione tarda. Parallelamente il processo penale è stato interessato da altri interventi, miranti, nelle intenzioni del centrosinistra, ad adeguarlo alla riforma del giudice unico. Dopo una lunga gestazione, che aveva fatto ben sperare, anche per le aperture alle proposte dell'opposizione, è stata approvata una depenalizzazione estremamente timida, che non ha avvantaggiato per nulla il carico dei ruoli: i verdi hanno paralizzato qualsiasi intervento deflattivo su illeciti ambientali o urbanistici sanzionati penalmente, mentre invece ben potrebbero essere puniti sul piano amministrativo, mentre il ministero delle Finanze ha paralizzato un taglio generoso relativo ai reati tributari, che incidono fortemente sul carico di lavoro dei tribunali. Le nuove disposizioni processuali, note come "legge Carotti", dal nome del relatore, introdotte per adeguare il codice alla riforma del giudice unico, hanno ulteriormente e inutilmente complicato la funzionalità del processo, inserendo formalismi dei quali nessuno lamentava la mancanza e incompatibilità che rendono ancora più difficile trovare un giudice che possa decidere su un fascicolo. La "Carotti" ha inoltre contribuito ad abbassare la soglia di sicurezza dei cittadini, introducendo l'eliminazione dell'ergastolo nell'ipotesi del ricorso da parte dell'imputato al rito abbreviato.

Incertezza della pena. A proposito dell'ergastolo, giova ricordare che nell'aprile 1998 la maggioranza ha approvato al Senato l'abrogazione di questo tipo di sanzione: alla Camera nessuno ha mai avuto il coraggio di iscrivere il relativo disegno di legge all'ordine del giorno, ma questo non toglie valore a un passaggio così delicato avvenuto in un ramo del Parlamento. E' ben noto che nessuno oggi, anche se ha commesso i delitti più efferati, resta in carcere per tutta la vita: l'insieme dei benefici dell'ordinamento penitenziario consente, se condannati all'ergastolo, di andare definitivamente in libertà dopo circa 21 anni, di fruire della semilibertà già dopo 16 anni di reclusione, e dei permesso premio dopo 10-11anni. Sostituire l'ergastolo con una detenzione a tempo, sia pure per 30 anni nominali, vuol dire abbassare pericolosamente la soglia di quei benefici: 10 anni per la semilibertà e 5 per i permessi premio. Forse per questo il centrosinistra ha percorso la via breve del rito abbreviato: con successo, dal momento che ha conseguito il medesimo risultato che l'azione diretta rendeva problematico.

Sul versante dell'esecuzione della pena, le iniziative improvvide dell'Ulivo sono numerose. La "legge Simeone" è passata alle cronache col nome del proponente, un deputato di Alleanza Nazionale che in realtà aveva proposto qualcosa di molto più circoscritto. Andrebbe più correttamente definita "legge Saraceni", dal nome del relatore, oggi responsabile giustizia dei Verdi, che l'ha dilatata oltre misura, producendo di fatto un automatismo in base al quale ogni condanna definitiva fino a tre anni di reclusione (dunque, per reati gravi, che possono includere anche rapine, estorsioni e violenze carnali) non porta in carcere, bensì alla sospensione dell'esecuzione della pena in attesa che il tribunale di sorveglianza decida sull'affidamento in prova al servizio sociale. Nel corso della Legislatura ci sono stati - e non mancano tuttora - tentativi ricorrenti da parte di forze qualificate della maggioranza (si pensi ai d.d.l. dei senatori DS) per rendere non punibile lo spaccio di stupefacenti. Il "pacchetto Fassino" - ultimo complesso di interventi proposto dal centrosinistra - contiene ulteriori misure lassiste, che prevedono, fra l'altro, la possibilità per il giudice di convertire in detenzione domiciliare la condanna fino a due anni di reclusione, e l'equiparazione di un anno di reclusione a otto mesi effettivi.

L'Ulivo ha il terrore ideologico del carcere, poiché risente, anche inconsciamente, del dogma secondo il quale chi sbaglia è anzitutto vittima della società. Non è stato in grado di impostare una corretta politica penitenziaria, dal momento che non ha aperto gli istituti di pena completati, non ha realizzato incrementi di personale fra la polizia penitenziaria, ha continuato a mantenere l'organico degli educatori e degli assistenti sociali a livelli di mera testimonianza. Quando l'universo carcerario ha mostrato segnali di insofferenza, il centrosinistra è riuscito solo a invocare, spesso senza avere nemmeno il coraggio di farlo esplicitamente, un provvedimento generalizzato di clemenza quale rimedio contro le tensioni e il sovraffollamento. Nel rapporto fra la persona e il carcere si è confermato non solo incapace, ma pure ideologicamente schizofrenico: diversamente non si spiega come mai, mentre esponenti qualificati della maggioranza presentavano proposte di legge per un indulto fino a quattro anni di reclusione (quindi per reati gravi, in presenza di condanne definitive), contemporaneamente il "pacchetto sicurezza" all'ordine del giorno della Camera prevedeva la carcerazione dopo una sentenza di condanna in secondo grado (quindi in presenza della presunzione di non colpevolezza) a una pena superiore anche solo di un giorno a quattro anni di reclusione. L'Ulivo ha infine vanificato il regime del carcere duro - il cosiddetto 41 bis -, con una circolare che nel 1998 ha reso possibili contatti e colloqui tali da far riorganizzare dall'interno del carcere quei sodalizi criminali che proprio il 41 bis concorreva a disarticolare.

Parti offese e testimoni. Continua a essere assente dalla prospettiva dell'Ulivo la considerazione dei reali soggetti deboli del processo penale: le parti offese e i testimoni, soprattutto quelli impegnati nei giudizi di criminalità. Per iniziativa di Alleanza Nazionale in questa Legislatura è stata approvata una legge sulle vittime della criminalità mafiosa, in favore delle parti civili che non riescono ad avere soddisfazione, nonostante sia stata pronunciata una sentenza di risarcimento in loro favore. Ed è invece per merito del governo di centrosinistra che questa legge non trova applicazione, poiché non viene varato il regolamento di attuazione. Sempre su proposta della Destra, è stata individuata una vera e propria carta dei diritti dei testimoni a rischio, che è stata inserita sotto forma di emendamenti al disegno di legge sui collaboratori di giustizia.

Aggiungere qualcosa sul coma della giustizia civile, sui tempi biblici della giustizia amministrativa, sulle reali incompatibilità e incongruità della giustizia tributaria suonerebbe ripetitivo rispetto a quotidiane lamentazioni, che fanno seguito a esperienze, che ciascuno è in grado di fare, di giustizia sostanzialmente denegata, e che a loro volta richiamano promesse fatte e non rispettate. Sarebbe demagogico e sostanzialmente falso sostenere che è tutta colpa dell'Ulivo, posto che ci si trova di fronte alla somma di problemi che hanno origini talora pluridecennali. E' però corretto prendere atto che l'Ulivo non ha fatto nulla per migliorarli. Per molti aspetti, li ha aggravati.

On. Alfredo Mantovano

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