ALFREDO MANTOVANO

DEPUTATO AL PARLAMENTO ITALIANO

 

Quirinale e cattolici: né curato né perpetua

 

Da qualche tempo cerco sul calendario la data della scomparsa della Democrazia cristiana dal panorama politico italiano; spero di individuarla prima che la DC si riformi definitivamente, sia pure con altro nome, in quel rigurgito di neoproporzionalismo e di centrismo d'abord che caratterizza il momento attuale. E' che vorrei festeggiare annualmente la fine di un equivoco: quello della coincidenza fra la DC e l'impegno dei cattolici in politica. Un equivoco duro a morire e che, sia pure con tanti distinguo, continua a essere oggettivamente alimentato da osservatori intelligenti, come il prof. Galli Della Loggia, che ieri, nell'editoriale comparso sul Corriere della Sera, non ha fatto sforzi particolari per distinguere dai cattolici i democristiani neanche tanto post.

Sarebbe interessante capire in base a quali elementi l'illustre politologo è convinto che i cattolici italiani si sentono con difficoltà parte integrante della nazione e che sono incapaci di considerare l'Italia in modo diverso da una parrocchia; sono convinto che sia più reale la difficoltà di qualcuno - Galli della Loggia incluso? - a non parlare di cattolici e di democristiani (o di popolari), quasi si tratti della stessa realtà. Senza andare troppo lontano nel tempo, è ben noto che fino alle elezioni politiche del 1994 il mondo cattolico ha patito la rappresentanza dc: lo ha fatto in funzione di un ricatto risalente all'indomani della Seconda guerra mondiale, allorché la diga anticomunista non poteva essere altri che lo scudocrociato. Ma in quasi mezzo secolo la forbice fra la base, i quadri intermedi e il vertice si è progressivamente dilatata, come rivela il calo dei consensi della DC, cresciuto a partire dalle elezioni politiche del 1979. Né può parlarsi di uno straordinario entusiasmo delle Gerarchie nei confronti del partito di piazza del Gesù: la recente pubblicazione delle memorie del prof. Luigi Gedda rivela, con dovizia di documenti, i rapporti difficili fra Pio XII e i capi della DC già nell'immediato dopoguerra, e il sostanziale distacco di questi dallo spirito e dai contenuti che avevano animato i Comitati civici. E' altrettanto noto il tentativo di quel Pontefice di fare a meno della DC, culminato col fallimento dell'operazione Sturzo; e cioè, in occasione delle elezioni comunali di Roma del 1952, con l'iniziativa, promossa proprio dal fondatore del Partito popolare, volta a dar vita, su richiesta del Papa, a una coalizione di centrodestra, comprendente anche i monarchici e i missini, in funzione anticomunista, per togliere alla DC l'egemonia di questa rappresentanza.

E' certo che i cattolici, in pendenza di guerra fredda e in presenza di un partito di destra che non forniva garanzie quantitative di tenuta rispetto al fronte delle sinistre, sono stati per decenni costretti - non solo turandosi il naso, ma anche bendandosi gli occhi e tappandosi le orecchie - a votare DC. Pagando sistematicamente il prezzo dei tradimenti di chi è riuscito a "governare al centro, e (a) fare, con i mezzi della destra, la politica della sinistra", secondo la felice formula di Georges Bidault; e i tradimenti sono consistiti non soltanto nella progressiva apertura a sinistra, fino al governo di solidarietà nazionale, con il Pci nella maggioranza, fra il 1978 e il 1979, ma soprattutto nell'accettazione delle condizioni poste dalle sinistre per realizzare l'apertura. Vale per tutti l'esempio della legge sull'aborto: approvata con la neutralità dichiarata dal governo all'epoca presieduto da Andreotti, votata con le assenze determinanti di numerosi parlamentari della Dc, sottoscritta da un Capo dello Stato, da un Primo ministro e da quattro ministri tutti con tessera Dc. La firma di quella legge omicida è sempre stata presentata da chi l'ha apposta come un "atto dovuto"; ben diverso - come tutti sanno - è stato il comportamento del re Baldovino che, rischiando il trono, si è autosospeso dalle funzioni di capo dello Stato pur di non fare altrettanto.

Oscar Luigi Scalfaro, intervistato una decina d'anni fa da Vittorio Messori, che gli proponeva un raffronto fra il comportamento di Andreotti e degli altri ministri Dc e Ponzio Pilato, rispondeva: "Certo: Pilato è un mio collega. Come magistrato e come politico, io lo difendo. (…) ha ceduto alla legge del potere, a quel "se non lo condanni non sei amico di Cesare" gridatogli dai peggiori nemici di Cesare. Ma erano quelli che potevano mettere in pericolo la sua carriera; e Pilato (…) ha assunto le sue responsabilità (sic). In questo coraggio (ancora sic) va rispettato; ma va anche indicato come esempio di quel potere non "politico" di cui parlavo, perché gestito per il proprio interesse e non per quello della città, dello Stato" (in Inchiesta sul cristianesimo, 1987, p. 210). Si tratta dello stesso Scalfaro che, da capo dello Stato, in una lettera del 26 agosto 1994 indirizzata a Berlusconi, quando questi era presidente del Consiglio, raccomandava al governo italiano, in procinto di mandare una propria rappresentanza alla Conferenza sulla popolazione de Il Cairo, di difendere "il diritto più essenziale e perciò del tutto primario per la persona umana: il diritto alla vita. Una civiltà che è per l'uomo, non può non farsi carico dell'affermazione di questo diritto e della sua tutela". Dunque, secondo Scalfaro il diritto alla vita per Berlusconi e in sede internazionale doveva essere essenziale e primario; per Andreotti e per il Parlamento italiano doveva cedere alla "legge del potere".

E i cattolici italiani dovrebbero essere sorridenti sostenitori di chi ha sempre pensato e operato in questo modo? Da ultimo fra i cattolici italiani, ritengo politicamente offensivo essere in qualche misura assimilato ai post democristiani del Ppi: chi ci assicura che Rosa Russo Iervolino, qualora sia eletta capo dello Stato, invece di seguire l'esempio di re Baldovino, non segua piuttosto la "legge del potere", sottoscrivendo senza indugi un testo normativo che introduce l'eutanasia? E' così difficile aver dubbi che possa accadere? Non è stata proprio l'attuale ministro dell'Interno che qualche mese fa, da presidente della Commissione affari costituzionali della Camera, ha redatto un parere alla legge sulla fecondazione artificiale, favorevole anche quanto all'eterologa, in grave contrasto con le norme della Costituzione relative alla famiglia?

Per questo è indispensabile mettere da parte equivoci e ambiguità. Dal nuovo capo dello Stato ci si attende quell'imparzialità che faccia assumere l'impegno di non provocare e di non avallare nessun nuovo ribaltone. Il resto sono chiacchiere: i cattolici italiani non vogliono che il Quirinale si trasformi in una parrocchia; gradirebbero la fine della beffa di un suo inquilino che cerca di imitare il signor curato. Figurarsi se sono entusiasti della prospettiva di vederlo sostituito da un perpetua.

Alfredo Mantovano