ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su Il Sole 24 ORE Martedì 23 ottobre 2001

DONATELLA STASIO

Il decreto anti-terrorismo estende la figura del collaboatore di giustizia agli uomini di Osama

Italia, protezione ai «pentiti» islamici



ROMA Tra gli strumenti per combattere il terrorismo internazionale, il Governo mette in campo anche i «collaboratori di giustizia», siano essi pentiti o testimoni. È una delle conseguenze del decreto varato il 18 ottobre dal Governo e da oggi alla Camera per la conversione in legge (relatore il forzista Gaetano Pecorella).

«Siamo pronti a gestire eventuali "pentiti" di Bin Laden e qualunque altra forma di collaborazione che dovesse emergere nel corso delle indagini sul terrorismo di matrice islamica - assicura Alfredo Mantovano, sottosegretario all' Interno, nonchè presidente della Commissione che si occupa proprio della protezione di pentiti e testimoni -. La Commissione e il Servizio centrale di protezione sono attrezzati anche per questa eventualità».

L'estensione della disciplina sui collaboratori di giustizia anche ai delitti di terrorismo internazionale non è sancita espressamente dal decreto legge, ma secondo Mantovano «è implicita». «Tuttavia - aggiunge il sottosegretario - non è da escludere che, per maggiore chiarezza e per evitare problemi, possa essere presentato un emendamento del Governo durante l'iter di conversione in legge del decreto. Non ci si può certo privare di uno strumento così importante, rivelatosi prezioso nella lotta alla mafia e al terrorismo interno». E agli scettici che non credono alla possibilità di rompere l'omertà del fondamentalismo islamico, Mantovano risponde: «Anche con Cosa nostra si dicevano le stesse cose. Quindi, mai dire mai. Tanto più che con la riforma dei pentiti (legge n. 45 del 2001, ndr) sono incentivate le collaborazioni dei testimoni, i quali potranno contare su una maggiore protezione».

Mantovano è stato uno degli artefici principali della legge 45/2001, in particolare delle nuove norme sui testimoni, che ora si trova a dover applicare. «La legge dà indicazioni molto chiare e precise - osserva -. Quindi non c'è mai bisogno di forzare la mano». Semmai, c'è bisogno di forzare i ritmi di lavoro della Commissione sui pentiti per cercare di recuperare l'enorme arretrato che si era accumulato negli ultimi cinque mesi, a causa della mancata nomina del nuovo presidente. Ma da quando Mantovano si è insediato (una quindicina di giorni), la Commissione si è riunita tre volte alla settimana: il che ha consentito di evadere tutte le richieste di ammissione al piano provvisorio di protezione (48, di cui 6 testimoni) e di risolvere alcuni importanti problemi interpretativi, in mancanza dei regolamenti di attuazione della riforma.

Tra questi, quello delle richieste economiche dei collaboratori di giustizia (251 le pratiche pendenti). «Ho proposto alla Commissione di dare la priorità ai testimoni - dice Mantovano - in particolare se il processo in cui hanno testimoniato si è già chiuso in via definitiva e, quindi, potrebbero tornare subito a una vita normale. La legge riconosce ai testimoni una serie di diritti, tra cui la capitalizzazione del costo dell'asistenza. Perciò abbiamo deciso di ascoltarli a partire da questa settimana, per sapere quali sono le loro prposte per uscire dal programma di protezione. Chi, ad esempio, era imprenditore e aveva un certo giro di affari prima di entrare nel programma di protezione, ci dirà che cosa vuol fare, quando ritiene di dover ricevere per cominciare una nuova attività, qual era il suo tenore di vita precedentemente. Ciascuno ci farà una proposta e noi la valuteremo». Ma, in assenza del regolamento di attuazione, c'è un altro problema da risolvere: come si calcola la capitalizzazione.

«La Commissione, ad esempio - prosegue Mantovano - ha ricevuto una richiesta di 13 miliardi: come facciamo a valutarla in assenza del regolamento? Aspettiamo? Ma se il testimone può tornare domani a fare una vita normale, perchè dobbiamo impedirglielo?». Per accelerare i tempi, la Commissione ha chiesto e ottenuto la collaborazione dell'Agenzia delle entrate. «A fronte di casi concreti - spiega Mantovano - ci hanno garantito risposte nel giro di 10 giorni. Il regolamento, poi, potrebbe far tesoro di questa esperienza, recependola».

Tra le iniziative prese dalla Commissione, ce n'è un'altra molto importante per l'ammissione al programma di protezione. In attesa del regolamento di attuazione, ci sarà un incontro alla Direzione nazionale antimafia con i Procuratori distrettuali per «definire i requisiti standard delle proposte di ammissione, in modo di arrivare a una sorta di protocollo comune, evitando perdite di tempo dovute alla restituzione di domande formulate superficialmente». Un esempio? «Come si fa - si chiede Mantovano - a prendere per buona la dichiarazione di nullatenenza fatta da un aspirante pentito, indicato dal magistrato come colui che, per anni, ha svolto funzioni di cassiere di un'organizzazione criminale avente tra le sue attività il contrabbando e il traffico di stupefacenti? Sarebbe come credere la stessa cosa del cassiere di una delle cellule di al-Quaida».

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