ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su La Provincia
(Sezione:        Pag.    10 )
Lunedì 03 aprile 2006

Antonio Marino

Il tema del giorno
TERRORISMO E SICUREZZA

 

 L'Europa disarmata di fronte ai Kamikaze

Nel libro del sottossegretario Mantovano l'analisi delle carenze dei magistrati difronte al fenomeno
Le «resistenze» nell'applicazione della Bossi-Fini, l'esigenza di riformare i servizi di sicurezza


 

«Arrivare prima del Kamikaz», in termini operataivi e in termini culturali è una necessità vitale di difesa per noi stessi e per la nostra civiltà. Ecco perchè - per il tema affrontato, ma anche per come viene affrontato - il libro (12 euro, editore Rubettino) che sotto questo titolo ha scritto Alfredo Mantovano, sottosegretario agli Interni e magistrato, meriterebbe una lettura attenta e svincolata dalle contingenze elettorali di questi giorni. Sine ira et studio è infatti la chiave che caratterizza l'approccio dell'autore, convinto che contro il terrorismo islamista «il livello di prevenzione e la capacità di contrasto dimostrate negli ultimi anni dal sistema italliano nell'insieme sono buoni», ma deciso anche a non chiudere gli occhi di foronte ad alcune sentenze «discutibili se non assurde» che, al di là delle polemiche che suscitano, mostrano l'esistenza di condizionamenti e inadeguatezze culturali che costituiscono un probrlema serio, di fornte al quale non si possono chiudere gli occhi in forza del rituale ossequio all'autonomia e all'indipendenza della magistratura.

Il fenomeno dirompente del kamikaze coglie impreparato l'Occidente. In Olanda, il tribunale di Amsterdam si ostina a ordinare la perizia psichiatra su Mohmammed Boutyeri, che l'aveva rifiutata avendo dichiarato di essere perfettamente sano di mente e di aver ucciso Theo Van gogh «in nome dell'Islam».

LA FOLLIA Un movente che appare talmente incredibile da dover ricorrere alla scappatoia della follia. «È un errore - spiega Mantovano - esito della deliberata rimozione, personale e comunitaria, di ogni ipotesi di incidenza sociale della religione: se la fede, e ciò che la fede è in grado di innervare nella cultura e nella vita quotiiana (pur nella disitnzione dei divresi ambiti), viene vista come un fastidio, se non come un pericolo, e per questo viene marginalizzata, come affrontare chi fa coincidere radicalmente e senza differenziazioni, fede, cultura, vita e politica?».

Ma quelli di Amsterdam non sono gli unici magistrati a scoprirsi disrmati a fronte di una realtà sconosciuta. L' 8 gennaio 2004 un giudice delle indagini preliminari di Napoli fa scarcerare «una serie di soggetti indagati per terrorismo internazionale, in quanto gravemente indiziati - sulla base di elementi concreti, fra cui intercettazioni telefoniche e ambientalli - di appartenere in Italia a una rete di sotegno logistico del Gruppo salafita per la predicazzione e il combattimento; si ipotizza il collegamento di quest'ultimo con Al Qaeda, e si riteneva la sua attività finalizzata a compiere attentati in Algeria».

L'ORDINANZA Il giudice motiva la sua ordinanza sostanzialmente considerando non provato che il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento sia un organizzione terroristica. Considerazione accolata dal tribunale del riesasme e invece rigettata dalla Cassazione, ma quando ormai gli indagati sono uccel di bosco.

Troppo noto per riproporne i dettagli è il caso della sentenza del Gip di Milano Clementina Forleo. Mantovano ne fa una valutazione attenta, punto per punto, osservando fra l'altro - ma è un "dettaglio" significativo - che la decisione del magistrato viene assunta anche sulla scorta dell'articolo 8 della Convenzione globale Onu sul Terrorismo che «semplicemnte non esiste: il negoziato su un abozza sottoposta alla discussione dei paesi membri si è arenato per l'esistenza di contrasti, ritenuti fino a oggi insuperabili».

La Corte d'Assise di Milano (9 maggio 2005) fornisce un'interpretazione della distinzione fra terrorismo e guerriglia che induce l'autore a chiedersi: «chissà se i giudici milanesi hanno mai avuto notizia (magari per «fatto notorio» o da «fonti aperte») che i militari italiani in Iraq e in Afganistan sono impegnati, nell'uno e nell'altro contesto, in attività di peace support su mandato dell'Onu..»

LA DOMANDA L'elenco potrebbe proseguire, non cambierebbe l'interrogativo di Mantovano: «Se un soggetto del quale è giudilzialmente roconosciuto il reclutamento nelle file di organizzazioni terroristiche cone Ansar al Islam, dopo essere stato rimesso in libertà si fa esplodere, dentro o fuori dall'Iraq, in un autobus o una scuola, possiamo consolarci ricordando che in Italia i tre gradi di giudizio... permettono di correggere in corso di procedimento gli eventuali errori del primo giudice?».

Ma non soltanto sul fronte della lotta al terrorismo, bensì su quello assai più ampio del contrasto all'immigrazione clandestina l'autore riscontra non pochi casi di decisioni sconcertanti, tanto da intitolare un capitolo del libro «Cento ricette per disapplicare la Bossi- Fini». Un esempio per tutti: in un ordinanza della Corte d'Appello di Venezia si legge addirittura un singolare confronto fra le norme della Bossi-Fini e le leggi razziali del 1938.

Il caso è indice di un approccio tutt'altro che isolato: dal settembre 2002, data di entrata in vigore della legge, sono 617 i procedimenti bloccati dal rinvio al giudizio di costituzionalità. Un enormità tale da porre - secondo l'autore - «il problema del blocco realizzato per via giudiziaria all'applicazione di una legge dello Stato, in una materia di singolare importanza per la sicurezza nazionale».

I SERVIZI E LA RIFORMA Ovviamente, il tema chiama in causa il Csm, il suo funzionamento e la formazione specifica dei magistrati giudicanti a fronte di quella - ritenuta assai più affidabile - di quelli requirenti. E pone un'altra questione, affrontata dall'autore dopo un esame dall'azione svolta contro il terrorismo da governo e Parlamento: quella della riforma, giudicata non più rinviabile, dei servizi di sicurezza, con il superamento della divisione fra Sisde e Sismi, e del coordimnento delle indagini giudiziarie, con l'istituzinoe di giudici non "speciali" ma specializzati.

Non si sottrae, Alfredo Mantovano, dall'affrontare in termini più generali il tema cruciale dell'integrazione e delle condizioni che la rendono possibile. Lo fa, senza pagare dazi al politicamente corretto, partendo anzitutto dalla necessità del riconoscimento dei principi inderogabili («primo fra tutti, l'eguale dignità fra uomo e donna») che tutti devono osservare. Ma lo fa anche e soprattutto prendendo di mira «quella montagna di equivoci e di ingenuità che purtroppo si sono radicati anche da noi: in particolare, l'applicazione all'lslam di connotati simili a quelli del Cattolicesimo». Un'attitudine che porta all'esaltazione del "dialogo" con una cultura per la quale il termine ha un significato profondamente diverso, all'equiparazione di una realtà complessa come quella della moschea con la parrocchia, al parallelo sbagliato e pericoloso fra l'imam e il sacerdote o fra il discorso del venerdì e l'omelia. Fraintendimenti tutti, spia da una parte di semplice ignoranza e dall'altra di identità debole e confusa, dai quali difficilmente può uscire qualcosa di buono.

VALORI E RADICI Così come esposta a un'inquietante eterogenesi dei fini finisce per mostrarsi la ricerca ossessiva - l'autore cita il caso delle maestre di Treviso che sostituiscono - la favola di Cappuccetto Rosso al Natale - di comportamenti caratterizzati da un tale livello zero in termini di valori, identità e radici, da non poter turbare nessuno.

Fatica vana - ammonisce Mantovano - «ci si troverà comunque di fronte, in particolari che sfuggono solo all'apparenza, a millenni di storia, di sacrifici, di traguardi e di errori - in due parole, di tradizione e di identità - che non si cancellano cambiando "Gesù" con "virtù" nel testo di una canzoncina.


    

 

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