ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su La Padania
(Sezione:        Pag.     )
Domenica, 1 maggio 2005

 

Berlusconi disegna scenari

  

 Silvio pronto a lasciare, l’Udc a prendere

Il Premier: «Ma solo dopo aver creato il partito unico»


 

Roma - Silvio Berlusconi apre alla sua successione dicendosi pronto a mettersi da parte, ma solo quando avrà realizzato il suo «sogno»: una casa comune dei moderati, un partito unico del centrodestra, che permetta la realizzazione del «bipartitismo perfetto» e dia «stabilità» al sistema politico italiano. Fatto ciò, spiega, se emergerà una figura in grado di raccogliere i consensi necessari per non lasciare il paese nelle mani del centrosinistra, potrebbe lasciare la politica, ma certo non andare in vacanza. E in alcuni palazzi romani, certi suoi alleati già si fregano le mani.

Ieri mattina il Premier, prima di lasciare la Capitale, ha rilanciato la sua proposta dicendo che ciò potrebbe spingerlo a far un passo indietro: «Se dovessimo arrivare al partito unico e al bipartitismo perfetto - ha detto - non avrei nulla in contrario a considerare la mia esperienza conclusa con un grande successo storico». Insomma, i «cinquantenni che pensano alla propria carriera politica e al proprio destino» si facciano avanti: «Se avessimo dei sondaggi che dimostrassero che c'è qualcuno che dà maggiori garanzie rispetto a me, io non avrei remore».

Dopo aver negato qualsiasi fuga all’indietro verso il proporzionale, che gli era stata attribuita nei giorni scorsi, il Cavaliere ribadisce la scelta di un sistema bipolare, anzi bipartitico per evitare «ciò che è successo in questi quattro anni in cui non siamo riusciti ad avere una coalizione in cui vigesse il principio democratico per cui la minoranza si adegua alle decisioni della maggioranza». Chiaro il riferimento all’Udc, soprattutto quando spiega che «il cambiamento di governo lo voleva soltanto un partito, poi si sono aggiunti altri fatti e questo ha comportato una decisione che io non condividevo e che ho preso forzatamente». Se le difficoltà fossero insormontabili, si concede il Premier, sarebbe comunque accettabile una federazione ma con «regole precise» che impediscano ad una singola componente, altri riferimento ai centristi, di avere «il diritto di veto». Berlusconi dice di «avere una prospettiva storica» e non legata al suo nome, l’importante e non far vincere la sinistra: il rischio è di avere un «quasi regime».

Al colpo di acceleratore del premier fa riscontro una secca frenata da parte degli alleati, An e Udc, che stanno giocando una delicata partita per la leadership. Innanzitutto da parte di An, con un comunicato congiunto di quattro importanti esponenti (il ministro Mario Landolfi, il sottosegretario Alfredo Mantovano, Gennaro Malgeri e Andrea Ronchi), tutti fedelissimi di Fini. «Sì alla Federazione del centrodestra - hanno affermato - ma no a semplici somme di partiti o annessioni». Insomma, niente scorciatoie, perchè il nuovo soggetto deve partire da un «processo costituente» che passa «per forza dalla base» dei partiti del centrodestra. E una doccia scozzese arriva pure da Ignazio La Russa: «In una prospettiva futura un partito unico può essere un fatto positivo, ma io preferisco una federazione dei partiti».

E freddezza anche sulla disponibilità del premier al passo indietro: «Nella vita - ha detto La Russa - tutti passiamo. Anche Berlusconi tra adesso o tra cento anni dovrà lasciare il passo non a realtà diverse, ma allo stesso centrodestra ugualmente forte». Anche chi, come Gustavo Selva, è da sempre favorevole a un nuovo soggetto del centrodestra, invita alla ponderazione, a evitare cioè percorsi affrettati in modo da arrivare piuttosto a «una formazione vera e non di plastica». E Marco Zacchera, invita Fini a farsi garante di «un forte e serio dibattito» dentro An: guai a «scelte elettorali o imposte dall’alto». Dentro An c'è anche chi mostra un maggior trasporto verso il progetto: è il caso di Filippo Berselli ed Enzo Raisi, coordinatori in Emilia e a Bologna i quali, per passare dalle parole ai fatti, hanno organizzato per il 28 maggio a Imola, una conferenza programmatica con la base del partito sul tema. Il partito unico, hanno affermato, «è l’unica reale alternativa per sconfiggere le sinistre nel 2006».

Anche nell’Udc la parola d’ordine è prudenza. Certo, sottolinea il bimestrale d’area folliniana Formiche, è apprezzabile che finalmente Berlusconi «scommetta più sul cambiamento che sull'immobilismo», però si deve partire dai contenuti. «Se si vuole immaginare un partito politico unico, ricco di contenuti, - ha detto il sottosegretario Giampiero D’Alia - il nostro riferimento è il Partito popolare europeo» che escluderebbe dai suoi vertici un possibile avversario di Casini, come Fini. E il vice segretario dell’Udc, Mario Tassone, a scanso di equivoci, ha precisato: «Sul partito unico occorre aprire un dibattito serio e approfondito nel partito, e nessuno è stato finora incaricato di contattare altre forze politiche su questo tema». Un avvertimento alle diplomazie informali partite anche dall’interno dei centristi. In effetti, un gruppetto trasversale si sta muovendo da tempo per elaborare un contributo sui contenuti. Si tratta, come ha ricordato Angelo Sanza, del gruppo che annualmente promuove il convegno di Todi della Fondazione Liberal, che fa capo a Ferdinando Adornato e che a giorni dovrebbe presentare un documento-manifesto. Resta il fatto che nell’Udc c'è ancora molto scetticismo sulla reale disponibilità di Berlusconi a farsi da parte. «Lo dice ma non lo pensa», sintetizza un parlamentare centrista. E d’altra parte che ci sia ancora bisogno del Cavaliere lo sostiene esplicitamente anche il ministro Beppe Pisanu.

Infine c'è il partito del premier, Forza Italia. Il vice coordinatore Fabrizio Cicchitto ha assicurato che il progetto del partito unico non farà mettere in soffitta la riorganizzazione interna. In effetti nel week-end Berlusconi, insieme a Sandro Bondi, lavorerà proprio al partito, i cui coordinatori regionali devono essere nominati. Situazione che sta creando diversi problemi, visto che i partiti alleati nelle regioni non hanno un interlocutore per trattare sulle cariche consiliari o di giunta, per quanto riguarda Lombardia e Veneto.


    

 

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