ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su Avanti (Sezione: LA POSTA Pag. ) |
Venerdì, 17 Dicembre 2004 |
Il sogno di una vita di Ingroia
Egregio direttore, c’è un magistrato, il pubblico ministero di Palermo, Antonino Ingroia, che, esultando in modo tutt’altro che sobrio e composto per la feroce condanna, appioppata dal tribunale, presieduto dal dottor Guarnotta, a Marcello Dell’Utri, confessa di aver visto, finalmente, realizzato il sogno della sua vita. E c’è un altro magistrato, Alfredo Mantovano, oggi sottosegretario di An al ministero degli Interni, che bacchetta severamente il collega, parlando di vendetta della giustizia politica. Tra queste due toghe, “L’Unità” e i settori giustizialisti della sinistra scelgono il primo, seguace dell’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli. E, senza arrossire, attaccano con violenza Mantovano che è stato un giudice trasparente e oggi è un politico stimato, accusandolo di “sputare nel piatto in cui, per tanti anni, ha mangiato, per ingraziarsi i suoi nuovi padroni!”: In realtà, il vice del ministro Pisanu è nel mirino del “partito dei giudici” perché, criticando il verdetto di Guarnotta, ha infranto un tabù secondo cui la magistratura andrebbe perennemente ossequiata anche quando emette sentenze legittimamente e civilmente discutibili. Invece all’ordine giudiziario andrebbe chiesto di non alimentare un pericoloso e improprio tifo da stadio, rispondendo con decisioni giustizialiste a sentenze equilibrate e garantiste come quella del tribunale di Milano che ha segnato la disfatta politico-giudiziaria dell’inchiesta Sme - Ariosto. E di osservare comportamenti irreprensibili, soprattutto nei momenti più delicati. Non dimenticando mai che nelle moderne democrazie non possono esserci poteri da considerare preminenti nei confronti dei diritti costituzionali dei cittadini. Al di là delle tante e gravi anomalie dell’ultima interminabile e kafkiana inchiesta del “casellismo”- che concepisce la giustizia solo al servizio di una parte politica - occorrerebbe dimostrare di saper reagire in modo politicamente più incisivo alla condanna di Dell’Utri. Che è stato colpito, sarebbe ipocrita negarlo, soprattutto perché è stato uno dei collaboratori più stretti di Silvio Berlusconi. Va contrastato,con maggiore forza il tentativo di criminalizzare quanti nel Mezzogiorno e non solo in Sicilia hanno dimostrato che si possono ricevere consensi e vincere le elezioni senza intrupparsi nel partito erede del vecchio Pci di Togliatti esaltato di recente da Ciampi, forse un pò frettolosamente, come “un grande della Repubblica”. Il Pci, poi Pds, poi Ds, grazie alla rete stesa abilmente da Violante dal 1992 a oggi, è riuscito a influenzare larghi settori della magistratura. Con la condanna di Dell’Utri - che segue, dopo tanti flop processuali, la batosta in appello affibbiata all’ex ministro Dc Mannino e il rinvio a giudizio del governatore della Sicilia Cuffaro (Udc) - gli incanutiti epigoni di Caselli tentano di rialzare la testa. Riciclando la vecchia equazione cara a Violante: dissenzienti dai comunisti uguale mafiosi. A questi pericolosi colpi di coda, la risposta meglio calibrata sul piano politico e parlamentare dovrebbe venire dalla maggioranza. Perché in 3 anni e mezzo di legislatura non sono state modificate almeno le parti più scandalose della legge sui pentiti e non si è neppure abrogato il famigerato “concorso esterno” in associazione mafiosa? Quel discusso “reato di chiacchiera” che ha già mietuto tante vittime innocenti e che è stato utilizzato dal presidente Guarnotta per condannare a 9 anni di reclusione Marcello Dell’Utri, la pena che di solito si infligge per un tentato omicidio. Pietro Mancini Roma
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