Giannicola Sinisi, deputato della Margherita, è stato sottosegretario all'Interno nei governi Prodi e D'Alema, e si è sempre occupato di immigrazione. È molto esplicito e definisce «miserevoli» le ragioni addotte per il rimpatrio dei clandestini. Tutta la politica governativa, sostiene, è una «strategia emergenziale e non il frutto di una programmazione immigratoria seria.»
È da bocciare anche l'accordo con la Libia?
La scelta di questo accordo nasce dall'afflusso massiccio proveniente dal Nord Africa e non da una strategia di dialogo nel Mediterraneo per prevenire, contenere e regolamentare i flussi di stranieri che giungono in Italia. C'è una contraddizione di fondo nelle scelte che il governo ha fatto.
In che cosa consiste la contraddizione?
Sono stati ostruiti i canali di ingresso legali in Italia ed è stata bloccata la programmazione dei flussi, tant'è che non abbiamo neppure più un documento di programmazione triennale. L'ultimo è del centrosinistra e risale al 2001. Tutto questo rincorrendo le varie emergenze e avvalendosi di strategie che erano state messe a punto dal 1996 al 2001, come ad esempio le politiche pensate per l'Albania che nel tempo hanno dato frutti. Il flussi sono scesi in maniera costante fino ad azzerarsi. Le politiche attuali sono invece intolleranti e inefficaci. Invece di arricchire le liste davanti ai nostri consolati, hanno aumentato quelle davanti ai banchetti della criminalità organizzata.
Non pensa che anche l'Europa debba aiutarci di più?
È difficile invocare l'Europa sulle politiche dell'immigrazione e poi negarla sulla politica della sicurezza e della giustizia. Non si possono porre ostacoli alle strutture comunitarie come Europol o alla ratifica della convenzione sul mandato di arresto comune e poi invocare la Ue quando conviene. Noi siamo stati del resto sordi alle richieste degli altri Paesi proprio su questi temi dell'immigrazione. Oggi ci spaventiamo per le nostre coste, ma la Germania ha avuto più di 100 mila domande di asilo in un anno. Quindi non siamo i soli.
Mantovano dice che la strategia del rimpatrio darà frutti perché i clandestini si guarderanno bene dal ritornare.
È un ragionamento miserevole, perché immaginare che chi muore di fame tema di poter essere rispedito in patria significa che non si è capito nulla del fenomeno in generale. Ci sono stati albanesi rimandati i patria sette volte.
Allora, quale potrebbe essere una soluzione?
Degli accordi che prevedano anche il rimpatrio, ma ci vogliono iniziative per la cooperazione allo sviluppo e alla sicurezza. Occorre un ripensamento della legge Bossi-Fini che introduca delle possibilità di ingresso in Italia che siano governate dall'autorità di pubblica sicurezza, ma anche dal mercato del lavoro. In una parola, politiche che consentano una facile integrazione nel rispetto dei numeri che possono essere tollerati sia dal nostro sistema economico che dal nostro sistema sociale.