ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su Avvenire (Sezione: Primo Piano Pag. ) |
Martedi 14 Giugno 2005 |
Una smorfia di incredulità "taglia" il volto di Gianni Alemanno
da Roma Arturo Celletti Una smorfia di incredulità "taglia" il volto di Gianni Alemanno. «Gianfranco non può fare finta che non sia successo nulla, non può non capire che Alleanza nazionale ha bisogno di un confronto vero, anche serrato...». Per qualche secondo il ministro rimane silenzioso. Poi torna a fissare le prime agenzie di stampa che riassumono le prima reazioni del capo di An al naufragio del referendum. È Alemanno che legge a bassa voce, ma è Fini che parla da Lussemburgo. È il vicepremier che dice di non sentirsi uno sconfitto ed esclude con decisione ogni ipotesi di dimissioni. «Non ci penso per niente, questo è poco ma sicuro». Alemanno si aspettava una reazione diversa. Magari un "valutiamo"; magari un segnale di autocritica... E invece nulla. E invece questa sembra solo «l'ennesima scelta di chiusura». A Lussemburgo Fini va dritto. «Ho la certezza di aver agito seconda la mia coscienza», ripete il capo di An che, parola dopo parola, costruisce la sua difesa. «Non mi sono mai chiesto se votare sì era politicamente utile. Resto convinto che votare sì era il modo migliore per aiutare la ricerca scientifica e la salute della madre». Alemanno non deve andare avanti per decidere. «Lascio la vicepresidenza di Alleanza Nazionale», dice il ministro delle Politiche Agricole. Poi senza nessuna esitazione lancia la sfida: «Lascio con una speranza: tutti dobbiamo essere capaci di metterci in discussione». È l'ennesimo giorno difficile per Gianfranco Fini e per il "suo" partito. Fini non molla. E non si pente. «Se io avessi imposto ad Alleanza nazionale una scelta, capirei le ragioni di coloro che dicono: ma, perché... Invece non ho mai pensato di imporre il mio punto di vista ad altri, ma allora non vedo per quale motivo, nella libertà di coscienza, altri avrebbero dovuto imporre a me comportamenti diversi». Non basta ad Alemanno. Ma non basta nemmeno a Publio Fiori, a Gustavo Selva, ad Alfredo Mantovano, a Adriana Poli Bortone, a Carmelo Briguglio... È lungo l'elenco di chi non ha capito la scelta di Fini. Azione giovani fa partire una catena di sms per marcare la distanza dal capo sulla scelta referendaria: «Abbiamo vinto pure contro Fini». La resa dei conti è cominciata: domani Fini incontrerà l'ufficio di presidenza; per il 2 e 3 luglio è già fissata l'assemblea nazionale... E a sentire la determinazione con cui attacca Publio Fiori per il Capo non sarà facile uscire dalle sabbie mobili. «La posizione di Fini - attacca l'ex Dc oggi vicepresidente della Camera - è uscita drammaticamente perdente dall'esito del referendum». E ancora: «Ha creato un problema e lo deve risolvere... Non ci può dire che si tratta di una scelta di coscienza; mica era incosciente quando ha sottoscritto a Fiuggi i valori di An». Monta il fronte critico e quando Adriana Poli Bortone si interroga ad alta voce la ferita torna a sanguinare: «Chi mai in altri tempi si sarebbe sognato di avere incertezze sul diritto alla vita o di indicare pilatescamente la libertà di coscienza?». Per ora non ci sarà una sfida congressuale. «Non è questo il momento degli scontri di potere», ripete Alemanno in tutti i "faccia a faccia" privati. Ma la verità è che dentro An nasce un'area di opposizione che lega la destra sociale, gli ex Dc e i cattolici. «Un'area dei valori», ripete il capo della segreteria politica Carmelo Briguglio che non rinuncia a sottolineare come la quasi totalità del partito si sia battuto per l'astensione. Sbaglia però chi pensa e chi parla di un Fini mollato dal partito. Il partito è, nonostante tutto, ancora con Fini. Matteoli, ministro dell'Ambiente: «Io non penso a dimettermi e grazie a Dio non ci pensa neppure Fini». Contento, sottosegretario all'Economia: «La leadership in An non è assolutamente in discussione». Urso, viceministro per le Attività Produttive: «Contrari a discutere leadership di Fini». Gasparri e La Russa: «Fini non è in discussione». È la risposta all'attacco. Ma dietro i flash d'agenzia qualche dubbio si agita anche nei ragionamenti dei fedelissimi: basta strappi, le grandi decisioni vanno prese dopo aver consultato gli organi direttivi del partito. È un dibattito interminabile, interrotto dai flash d'agenzia che non smettono di accavallarsi. «La questione della leadership non si può mettere sotto il tappeto», fa sapere Alfredo Mantovano. È solo la sintesi di un malessere profondo, amaro. Mantovano per dieci anni è stato uno dei più stretti collaboratori del vicepremier. È stato uno degli ispiratori della legge sull'immigrazione. Ha seguito Fini, ha creduto in Fini. Ora, chiuso nel suo ufficio al Viminale, con la lettera di dimissioni tra le mani continua a interrogarsi e a non capire: «Non ho condiviso la libertà di coscienza sui referendum, non ho condiviso i tre sì di Fini... Restare al mio posto sarebbe poco coerente. Anzi sarebbe imbarazzante».
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