Come si può, in una decina di giorni, assolvere e scarcerare due presunti terroristi islamici e rispedirli poi in cella per lo stesso reato? La domanda è troppo specifica e il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, preferisce tenersi sul generico, limitandosi a registrare che, «fino a questo momento, ci sono state decisioni giudiziarie diverse, se non addirittura contrastanti». Gli investigatori raccolgono prove, le Procure le analizzano e le inquadrano all’interno dell’articolo 270 bis, inserito nel codice penale alla fine del 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Poi arrivano davanti a un giudice che deve convalidare l’arresto degli indagati o processare gli imputati e le interpretazioni divergono. Spesso restano i singoli reati, ma cade l’associazione terroristica.
Chi sbaglia? Gli investigatori pressati dall’allarme, la Procura che non controlla o chi giudica?
«Se da un lato, polizia giudiziaria e pubblici ministeri adottano tecniche e sensibilità più affinate, dall’altro esistono alcune decisioni della magistratura giudicante che in più di una circostanza hanno mostrato una sensibilità più attenuata rispetto a questo reato e più in generale al terrorismo islamico. Mi preoccupa che ci siano sentenze di assoluzione fondata sulle negazione di organizzazioni inserite nelle black list dell’Onu, del Consiglio d’Europa... Una cosa è il libero convincimento, un’altra l’arbitrio».
Come invertire la rotta?
«Istituendo una sorta di specializzazione anche sul piano giudicante. Non auspico, sia chiaro, giudici speciali, ma giudici specializzati. Per l’antimafia, ad esempio, esistono i giudici dell’udienza preliminare distrettuali, poi ci sono quelli che si occupano di lavoro o di diritto agrario. Perché non dovremmo immaginare negli uffici giudicanti sezioni specializzate nel contrasto al terrorismo islamico?».
Basterebbe l’iniziativa locale?
«Assolutamente no, ritengo indispensabile un intervento del Consiglio superiore della magistratura o una modifica legislativa ad hoc».
Togliendo giudici al lavoro ordinario?
«Per una maggiore garanzia di risposta al fenomeno basterebbe razionalizzare le risorse umane. Questo non significa, comunque, che i processi oggi non si fanno, mancano criteri di selezione adeguati».
Eppure molte sono le critiche al 270 bis. C’è chi sostiene che manca una definizione del reato di «terrorismo internazionale».
«Se è da cambiare, cambiamolo. Ma penso anche che sia difficile dare una definizione esatta dei reati associativi: non si può fotografare una realtà sociologica così complessa in chiave giuridica. Quel termine è un contenitore che deve essere riempito dal giudice».
Disponibile a un ritocco?
«Se è insufficiente, facciano proposte, specialmente gli addetti ai lavori. Ciò che è singolare, però, è che sul piano investigativo non tutti lamentano la genericità della norma».
Meglio i giudici specializzati?
«Si tratta di un altro fronte e quindi si potrebbe procedere parallelamente. Ma ripeto: bisogna che chi ha voce in capitolo si faccia avanti».
Lei come si sta muovendo?
«Personalmente dico e scrivo queste cose da tempo. Certo, posso fare pressione, ma credo sia importante parlarne: se si sviluppasse un dibattito si potrebbe arrivare a qualcosa di concreto. Purtroppo finora il problema ha visto la comparsa di molte divisioni sia in politica che in magistratura».