D'Elia: «Non sono più il terrorista di 30 anni fa»
Il fondatore di «Nessuno tocchi Caino», deputato e segretario della Camera si difende: «Nessuna vergogna, la mia è una parabola felice. L'uomo dopo la pena è diverso da chi commise il delitto»
Da Roma Giorgio D'Aquino
«Sono disposto ad accettare anche il giudizio inappellabile di quel severissimo tribunale della storia che è l'opinione pubblica. Quel che non accetto è di rimanere ostaggio perpetuo della memoria, del mio passato e di ciò che ho fatto trent'anni fa». Sergio D'Elia, fondatore di Nessuno tocchi Caino e oggi esponente della Rosa nel pugno e segretario alla presidenza della Camera, passa al contrattacco. Dice no all'attacco della CdL, no a chi gli ricorda il suo passato in Prima Linea e la sua condanna a trent'anni per l'assalto al carcere di Firenze dove rimase ucciso l'agente Fausto Dionisi.
Dice no a Libero che ieri gli ha dedicato la prima pagina e un titolo fin troppo eloquente: Un terrorista segretario della Camera. La reazione del deputato della Rosa nel Pugno è tutta in una lettera inviata al presidente della Camera Fausto Bertinotti e ai colleghi deputati. D'Elia si difende. Spiega che la sua elezione «non è una vergogna», ma la «parabola felice di una storia» di cui lo «Stato italiano può andare fiero», perché dimostra che «l'uomo della pena può divenire un uomo diverso da quello del delitto».
La difesa non basta e la polemica non cala. La questione, rilanciata nei giorni scorsi soprattutto da Carlo Giovanardi, che ha confermato le sue ragioni anche ieri, viene ripresa da Maurizio Gasparri e da Alfredo Mantovano di An. Il primo dà del «terrorista» all'esponente radicale, mentre il secondo chiama in causa la formazione che lo ha portato in Parlamento: «Credo che l'opportunità o meno della presenza di D'Elia in Parlamento - ha detto l'ex sottosegretario all'Interno - debba essere valutata anzitutto da chi l'ha proposto nelle proprie fila, il quale dovrebbe essere chiamato a spiegare quale sia il senso di questa candidatura».
Il centrosinistra stigmatizza le critiche dell'opposizione all'insegna di una considerazione: D'Elia ha scontato la pena inflittagli ed ha compiuto un percorso di riabilitazione morale che lo porta ad avere i requisiti per sedere alla Camera. Quest'ultimo aspetto è sottolineato sia dal ministro Emma Bonino che dalla radicale Irene Testa che ricorda il «determinante impegno per i diritti umani e contro la pena di morte nel mondo, attività per cui da anni è conosciuto e stimato nel mondo politico».
Un percorso ricordato anche da Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera. Franco Grillini, dei Ds, afferma che le polemiche «sono strumentali e rivelatrici di una cultura punitiva e vendicativa della giustizia». Sarebbe quindi, «veramente disumano pensare che un detenuto una volta uscito dal carcere si porti come marchio e come condanna perenne un processo senza fine». E il senatore della Quercia Cesare Salvi, afferma che, proprio a causa di questa sua maturazione e impegno nel sociale, «D'Elia ha tutti i titoli giuridici, politici e morali per svolgere le funzioni alle quali è stato eletto dai cittadini e dal Parlamento».
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