«Più che sottovalutazione c'è quasi una rimozione del problema. Nel senso che nelle comunità del Centro-Nord si ritiene che questi fenomeni siano qualcosa di estraneo». Alfredo Mantovano analizza i fatti e lancia l'allarme: «Se per un verso il "non vedere" può vuol dire che si crede nella "sanità" del proprio territorio - osserva il sottosegretario all'Interno -, dall'altro il non prendere coscienza vuol dire isolare coloro che si trovano sottoposti al racket».
Stando alle informazioni di cui disponete, quanto c'è da preoccuparsi?
Dal punto di vista quantitativo non c'è confronto tra Nord e Sud. Al Nord, come spiega il rapporto di "Sos Impresa" e come succede da tempo, il racket si presenta come proiezione delle organizzazioni criminali operanti nel Mezzogiorno. E originari del Sud generalmente sono sia i criminali sia le parti offese.
Perché?
Chi emigra lascia genitori e parenti stretti nei paesi d'origine e la minaccia si può rivolgere non tanto nell'area di residenza, quanto contro i propri cari rimasti a casa. Poi c'è anche una ragione culturale: spesso l'imprenditore meridionale che si trasferisce tende a chiamare dipendenti e collaboratori dalle zone di origine e dunque è più facile che si replichi una mentalità e un tipo di approccio al problema più simili a quanto accade nelle regioni tradizionalmente più esposte.
Cosa si può fare per fermare l'escalation dei clan?
Il pizzo tutto sommato al Nord è circoscritto e limitato, per questo, oltre al lavoro di magistratura e forze dell'ordine, la denuncia è essenziale per reagire. E, a meno che non ci siano parenti nei luoghi d'origine, diventa anche più facile denunciare perché i clan non sono radicati e capillari come al Sud.
Le alleanze tra cosche italiane e clan stranieri si giocano anche su questo fronte?
Gli accordi tra mafie riguardano soprattutto il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione. Poi, a seconda dei casi, ci può anche essere una sorta di reciproco scambio di "servigi" su altre attività criminali. Di certo questi collegamenti esistono e sono più che riscontrati.
In cosa l'esperienza della società civile meridionale può essere d'esempio alle comunità del Centro-Nord?
Nel trovare il coraggio di contrastare a testa alta. Penso a città come Napoli dove ci sono quartieri nei quali, a differenza di altri, sono sorte associazioni antiracket. In zone della Sicilia che apparivano assolutamente impermeabili a qualsiasi reazione, l'ultimo caso è quello di Gela, sono nate associazioni antiestorsione. E in aree più impermeabili, come quelle calabresi, cominciano ad arrivare segnali importanti: a Lamezia Terme si è costituita da poche settimane una nuova associazione contro li pizzo. È la prova che reagire si può.