La leadership di destra deve interpretare valori e principi che sono della destra di sempre.
Sforzandomi di superare lo sconcerto provocato dalla lettura dell'intervista
del vicepremier Fini sul Corriere della Sera di oggi, accenno a qualche
considerazione politica, poiché il merito degli argomenti da lui portati per
i tre sì è il riassunto delle tesi dei referendari, senza contributi di
novità.
- Come si fa a svalutare il senso politico (non partitico) dei
quesiti dicendo che "stiamo parlando di referendum non di elezioni"? Non
sono in discussione (come è accaduto in passato) la scala mobile o il
ministero del Turismo; sono in discussione la salute della donna, la tutela
dell'essere umano, l'individuazione di un limite etico (etico, non
religioso) alla sperimentazione scientifica: è in discussione il rapporto
fra le scelte della politica e opzioni tecniche altrimenti illimitate. E'
poco? E' privo di conseguenze politiche? La posizione di AN sarà di "libertà
di coscienza" anche se e quando si discuterà di eutanasia?
- La vittoria dei sì andrebbe oltre il merito dei quesiti, ed
equivarrebbe ad anticipare la vittoria di un fronte libertario e di sinistra
simile a quello oggi al governo a Madrid. Con la conseguenza - se la
sinistra vincesse le elezioni - che a Roma si proverà a proiettare il
medesimo film da 15 mesi in onda oltre i Pirenei: matrimonio fra gay,
adozione per i gay, registro del sesso, divorzio a due mesi. Anche questa è
materia da "libertà di coscienza"?
- Sono sempre stato di destra e continuerò a esserlo. Osservo
soltanto, a proposito delle "manovre centriste" ipotizzate dall'on. Fini
come sfondo politico dei referendum, che se esse dovessero trovare ulteriore
spazio, sarà anche per l'attuale non volontà della leadership di questa
(pseudo) destra di interpretare valori e principi che sono della (vera)
destra di sempre.
Alfredo Mantovano
Roma, 7 giugno 2005
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