ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su
CORRIERE DEL MEZZOGIORNO (Sezione: PRIMA PAGINA e IN PRIMO PIANO Pag. 2 ) |
Domenica 22 Settembre 2002 |
di ALFREDO MANTOVANO
POLITICA E VALORI DELL'UOMO
Caro direttore, esauriamo da subito la sequela dei possibili aggettivi: retrogrado, reazionario, sanfedista, intollerante…Me ne basta (e avanza) uno, che non considero negativo, e che ieri, per qualificare la mia posizione sul patrocinio al «Gay Pride», è stato adoperato da Francesco Fistetti sulle colonne di questo giornale: tradizionalista. Lo accetto in pieno e senza vergogna. Contenti tutti? Risolta (spero) la pratica relativa alle etichette, gradirei parlare dei contenuti: quelli ai quali fa riferimento lo stesso Fistetti, allorché descrive la dialettica in atto nel centrodestra in Puglia (e non solo in Puglia). La tesi è che, partendo dalla rigida ortodossia cattolica, personalmente (e con me una buona parte di An) vorrei far coincidere etica privata, con particolare predilezione per la sfera sessuale, e scelte istituzionali. A differenza dell’olandese Pim Fortuyn, che invece sarebbe il modello della destra del futuro; vista la fine che ha fatto, mi si consentirà laicamente di toccare ferro... La fede può rappresentare uno dei motivi dell’impegno politico in generale (Paolo VI parlava della politica come « forma eminente di carità»: ha avuto poco audience, ma si esprimeva proprio così!), e quindi anche dell’impegno politico in favore della vita e della famiglia. E non vedo perché chi ne ha il dono se ne debba privare. Ma non è essenziale, né rappresenta il fondamento ultimo. Il fondamento ultimo è l’uomo, e la sua natura. La linea di confine, in quest’ottica, non è fra cattolici e non cattolici. Ma fra chi intende la natura come un dato certo e normativo e chi ritiene, invece, che la natura sia un mero postulato culturale e quindi sia soggetta alla libera iniziativa di chiunque e all’altrettanto libera contrattazione (o mediazione) fra le parti. Il nocciolo del discorso è il diritto naturale: è cioè un quadro di valori, riconoscibile da chiunque, la cui esistenza non dipende dai mutamenti della storia, dai conflitti di classe o di razze, o dai pensierini degli opinion maker delle serate in tv. Tali valori sono scritti in modo stabile e immutabile nella natura dell’uomo; regole essenziali valide in ogni epoca e in ogni luogo: non uccidere, non rubare, non dire il falso…C’è bisogno del catechismo per comprendere che non sta bene tirare una padellata in testa alla zia? O che la propria testimonianza in giudizio deve essere conforme al vero? O che il portafoglio del prossimo, benché interessante, gli va lasciato in tasca? Ciascuna di questa regole, letta in positivo, ha dei riflessi e degli obblighi non solo sul piano personale (soccorri la persona che sta in pericolo…), ma anche sul piano istituzionale e politico: difendi la vita con legislazioni e provvedimenti amministrativi adeguati, proteggi la famiglia da fattori oggettivi, anche economici, che possono disgregarla, introduci norme di trasparenza nella vita pubblica, punisci il furto. Ci sono istituti che esistono da sempre, proprio perché iscritti nella natura dell’uomo: il matrimonio e la famiglia, per esempio. A sostenerlo non è un paleodestrorso cronico, ma la Costituzione della nostra Repubblica: allorché qualifica la famiglia «società naturale fondata sul matrimonio», essa rinvia con quell’aggettivo - «naturale» - a un dato metagiuridico: un dato che, prima di essere riconosciuto dal diritto positivo, rappresenta da sempre una proiezione essenziale della persona. L’atto pubblico col quale un uomo e una donna (non due uomini o due donne) assumono la responsabilità di convivere e di procreare esiste da sempre, come rivelano i riti del matrimonio nei popoli precristiani. Non è questione che interessa solo il legislatore nazionale: anche un atto amministrativo, come il patrocinio del presidente della Regione al «Gay Pride», ne è in qualche modo interessato. La Destra, dunque, non inventa e non impone nulla. Prova invece a porre sul terreno del confronto temi non di inizio ’800, ma di estrema attualità. Quando si cerca di disciplinare, come sta facendo il Parlamento, gli interventi genetici sull’origine della vita, quali sono i parametri di riferimento? Se si ritiene che, in nome del liberalismo, non debbano neanche esistere, perché rappresenterebbero l’intromissione dell’etica individuale, confessionalmente condizionata, sulle scelte del legislatore, si deve avere il coraggio di affermare che tutto ciò che è possibile tecnicamente è per ciò stesso moralmente accettabile, e traducibile in norme di legge: sarebbe il trionfo della tecnica, svincolata da qualsiasi limite etico. Sono certo che nessuno arrivi a sostenere tanto, a meno che non sia dia una valutazione positiva, o anche solo neutrale, della clonazione. Ma allora l’individuazione del criterio per fissare dei limiti diventa un tema su cui riflettere; non è sufficiente che siano d’accordo la metà più uno dei votanti. Anche la democrazia ha dei limiti. La maggioranza sceglie chi deve governare; ma se a maggioranza fosse approvata una legge che prevede il taglio delle mani per chiunque acquista il Corriere del Mezzogiorno, anche il liberale più doc avrebbe qualche remora. Non so se a sinistra non ci sia nessuno sensibile ad affrontare il tema. Ho molto apprezzato, nelle polemiche sul crocifisso nelle scuole, la posizione dell’on. Anna Finocchiaro, «Past President» della Commissione giustizia della Camera, che ha richiamato i valori laici, di condivisione della sofferenza, che trasmette chi pende da quel patibolo. Posto che non si tratta di un simbolo che divide, non sarebbe male se, al di là di uscite strumentali di questo o di quel personaggio politico, e anche al di là degli schieramenti politici, dalla sua presenza più diffusa - non soltanto nelle aule scolastiche - la politica ricavasse l’obbligo dell’umiltà, del riconoscimento della possibilità di errore, e del senso del limite.
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