ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
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Venerdì 29 ottobre 2004

di GIANNI DONNO

La concentrazione degli istituti fvorisce la piaga 

 PREVENZIONE IN BANCA PER LA LOTTA ALL'USURA


 

Il problema del credito e dell'usura nel Mezzogiorno d'Italia è antico e risale almeno al tempo dei Borbone. Gli economisti del regno napoletano e poi di quello d'Italia affinarono le proprie analisi sulle difficoltà ed i ritardi della vita economica meridionale, sottolineando regolarmente le deficienze delle attività - creditizie, viste anche come ragione prima del fiorire delle attività usurarie. Percorre la storia postunitaria sia il dibattito per un credito agrario a basso tasso di interesse, di cui soprattutto la media e piccola proprietà coltivatrice sentivano il bisogno, sia la lotta contro l'usura che proprio nell'inadeguatezza del sistema creditizio trovava ragIone di diffusione e di corruzione della vita pubblica e produttiva. Alle banche meridionali era rimproverata una gestione degli interventi fortemente clientelare, legata al padrinaggio dei politici, insesibile verso la promozIOne ed il sostegno di nuove attività. Per conseguenza le iniziative usurarie fiorivano, addirittura reclamate da coloro che, a corto di capitali anche modesti, per portare avanti le proprie attività, e respinti dagli istituti creditizi, si rivolgevano agli usurai per risolvere temporaneamente i propri problemi. L'usura, come la malaria, fu il più grave flagello del Mezzogiorno sino al fascismo. Durante il regime il forte intervento dello Stato per opere pubbliche (bonifiche) e per il potenziamento dell'agricoltura di base (battaglia del grano) servì a mascherare, ma non ad eliminare il problema. Che riapparve negli anni del dopoguerra, quando la spinta alla Ricostruzione, attraverso gli aiuti del Piano Marshall, coinvolse anche il Mezzogiorno. Lo spazio per la diffusione dell'usura era rappresentato dalla media e piccola imprenditoria, che era incapace di fornire garanzie patrimoniali alle banche e che, oltre a ciò, non poteva vantare copertura da parte dei notabili politici locali.

Una vita economica stenta, quella meridionale, cui non bastava la pioggia di contributi pubblici, spesso a fondo perduto, rIversati a pro delle attività imprenditoriali. Anzi si può dire che il panorama meridionale dell'imprenditori a si articolava in una prima fascia, protetta politicamente e finanziariamente, consustanziale alla politica e naturalmente incapace di andare al di là di mercati protetti e di aree di nicchia. Quindi un settore; altamente minoritario, di imprese «pulite», sempre sull'orlo del fallimento, cui il sistema bancario negava od erogava magri finanziamenti. Quindi la grande realtà della imprenditori a finanziariamente «sommersa» e dipendente dal credito usurario.

Si ritenne, alcuni anni addietro, anche in ragione dei crescenti processi di nazionalizzazione e di in ternazionalizzazione delle attività finanziarie, che l'acquisizione delle numerose banche locali da parte di più forti Istituti del Centro-Nord, portasse alla soluzione dei problemi del credito diffuso e quindi dell'usura Ciò non è avvenuto. Anzi si può dire che la razionalizzazione delle attività finanziarie, operata da quegli Istituti, ha eliminato quel margine di La prevenzione è ritenuta da anni l'unico rimedio. Tant'è che 1'«Osservatorio per la prevenzione dell'usura e del racket», costituito poco piùdi un anno addietro in Salento, sembrò rappresen tare una giusta via di soluzione al problema. Ma i dati, l'altro ieri esaminati alla presenza del sottosegretario Mantovano, non appaiono confortanti. «Le banche devono fare di più» ha reclamato l'esponente di governo, ottenendo una risposta poco convincente dai rappresentanti dell' Abi. Ma non si vede altra strada, se non la perseveranza in una direzione, la prevenzione, che appare l'unica e la più incisiva.


    

 

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