ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Corriere del Mezzogiorno Domenica 13 gennaio 2002

Laura Amorosi

SEDIE VUOTE

Le toghe abbandonate dai giudici nell´aula del Palazzo di Giustizia di Lecce


LECCE - C´erano proprio tutti nell´aula magna del Palazzo di Giustizia di Lecce. Il parterre dellegrandi occasioni: istituzioni, parlamentari, esponenti delle forze armate e rappresentanti del mondo economico e dell´università. Ma a mancare erano proprio i giudici. A far pesare come un macigno quell´assenza, un elemento scenografico: le sedie vuote dei giudici di Corte d´Appello che, lasciate lì le toghe rosse, hanno raggiunto gli altri colleghi nei corridoi: gip, pubblici ministeri, magistrati di tribunale. La magistratura salentina è stata di parola: ha fatto quadrato attorno all´iniziativa della giunta distrettuale dell´Associazione nazionale magistrati e ha trovato proprio nel procuratore generale Alessandro Stasi il più appassionato portavoce del suo malcontento. Il procuratore, lasciato solo con il presidente della Corte d´Appello, Umberto Pagano, i due presidenti di sezione e l´avvocato generale ad onorare un dovere istituzionale di presenza reso più duro dall´amarezza.

Ed è con l´amarezza e la saggezza di un giudice di «lungo corso», che ha parla, stravolgendo la scaletta del suo intervento, trasformatosi in relazione sullo «stato di salute della giustizia nel paese». Stasi ha parlato a braccio, a sostegno delle ragioni che hanno convinto i giudici a non partecipare. «Queste sedie non sono vuote - ha detto Stasi - e il vuoto di questa sala è riempito, anzi gronda, dell´intollerabilità dei magistrati ad essere fatti oggetto quotidiano di accuse e censure sulle quali bisogna stabilire ora la verità. Queste toghe, che io chiamo vermi- glie, sono "rosse" perché in questi anni 24 magistrati hanno versato il loro sangue e, non ce lo dimentichiamo, nell´adempimento del dovere e nell´esercizio della giurisdizione». I mali della giustizia, quelli più visibili e strumentalizzabili politicamente, all´eccessiva durata dei processi alla non effettività della pena e relativo fenomeno delle «scarcerazioni facili», non dipendono per il procuratore da chi ha il compito di applicarla.

Stasi ha denunciato le ingerenze del potere politico. Sulle recenti polemiche, nate dalla lettera aperta del sottosegretario Mantovano sui mafiosi in libertà ha commentato: Mantovano non sbaglia a stigmatizzare. Non posso seguirlo però quando da questo si vuole trarre un granello in più di responsabilità da voler addebitare alla magistratura». Da qui la stoccata al governo: «Se il processo cammina e ingrana, è mirato alla persecuzione politica; se stagna nella immemorabile rete dei tempi, è colpa della magistratura». La responsabilità del pessimo stato di salute del processo penale sarebbe invece da ricercare «nei disordinati, farraginosi, eccessivi interventi legislativi che hanno provocato la stasi del dibattimento all´origine della sua irragionevole durata». Per il procuratore si tratta della manifestazione dell´incoerenza di un sistema penale che, mentre realizza il principio della ragionevole durata nelle fasi preliminari, poi vanifica tutto nel momento conclusivo. E la prova è da ricercarsi nei dati sui procedimenti della Corte d´Appello di Lecce nel 2001.

Diminuisce il numero dei processi che giungono a dibattimento, grazie al ricorso ai riti alternativi, mentre rimangono inalterati i tempi biblici di definizione in tribunale. E lancia una proposta: «Sancire l´utilizzabilità in dibattimento degli atti dell´indagine preliminare. E ridare così vita al processo». Infine, la protesta dei magistrati leccesi ha trovato voce nel documento letto da Vincenzo Scardia, responsabile locale dell´Anm. Nel documento il richiamo al rispetto reciproco tra le istituzioni dello stato, alla necessità di non privare la magistratura della fiducia dei cittadini, alle iniziative dell´associazione per sollecitare misure nell´obiettivo della ragionevole durata dei processi.

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