ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato sul qindicinale CORRIERE DEL SUD (Sezione: n. 18 Pag 3 ) |
16 - 30 novembre 2003 |
Giuseppe Brienza
La "Legge Fini-Bossi" sull'immigrazione: un anno dopo
(Seconda parte)
Fin d'ora si è comunque già ottenuto un aumento di circa il 50% in più di arresti di "trafficanti di uomini", ed il 70% in più dei sequestri di natanti per il trasporto dei clandestini. L'inasprimento delle pene relative assimila il trattamento di questi atti illeciti a quello riservato ai crimini mafiosi.
La nuova legge, per quanto concerne i c.d. ricongiungimenti familiari, li prevede giustamente limitati al coniuge, ai genitori a carico di figli unici o, nel caso in cui gli altri figli presenti nel Paese di provenienza non siano in grado di mantenerli per motivi di salute, ultrasessantacinquenni, ai figli minorenni o anche maggiorenni, ma solo se non in grado di provvedere al proprio sostentamento a causa del loro stato di salute dal quale derivi un'invalidità totale. Prima, demagogicamente, la "legge Turco-Napolitano" includeva, se inabili al lavoro, i parenti fino al terzo grado nella possibilità di stabilirsi in Italia al seguito degli immigrati regolari. Ciò, evidentemente, non è neppure pensabile, poiché portare nel nostro Paese circa 100-200 mila anziani extracomunitari che graverebbero sull'assistenza nazionale, ne moltiplicherebbe ulteriormente le difficoltà ed i ritardi che già devono subire i nostri connazionali.
Venendo ora ad un aspetto veramente importante della "legge Fini-Bossi", cioè l'introduzione del "contratto di soggiorno", sembra assolutamente condivisibile il principio che ne è all'origine, vale a dire che è possibile entrare in Italia solo con un contratto di lavoro, il quale consentirà un permesso di soggiorno di pari durata, e comunque non superiore a due anni. In caso di perdita del contratto di lavoro l'immigrato ha sei mesi per trovare un nuovo lavoro, poi scatta l'espulsione.
L'istituto del contratto di soggiorno non è una novità italiana. E' stato infatti introdotto in Germania fin dagli anni 1960, anche se il principio che ne è alla base fu utilizzato nel nostro Paese ancor prima, negli anni '30, per controllare le migrazioni interne, quando l'ingresso nei grandi centri urbani era interdetto a chi non avesse ottenuto già un lavoro.
Hédi M'Henni, ministro tunisino degli Affari sociali al momento del varo della nuova legge italiana, rappresentante quindi di un Paese che è stato ed è fortemente parte in causa del problema, a chi accusa il "contratto di soggiorno" di trasformare l'immigrato in "merce di scambio" ha obiettato: «oggi nel mondo c'è libera circolazione di merci e di capitali finanziari. Ma anche di droga, di malattie e di Aids. Non possiamo far finta di nulla, la persona va salvaguardata nella sua dignità proprio perché non è una merce».
Per concludere questo breve "bilancio" su un anno di "legge Fini-Bossi", pare opportuna una menzione relativa al lavoro del "Dipartimento Pubblica Sicurezza" del Viminale e di tutte le Prefetture d'Italia, che hanno la competenza ad applicare la nuova legge sull'immigrazione. Il Ministero dell'Interno, fra le altre cose, ha dovuto fronteggiare infatti una vera e propria emergenza, consistente nelle oltre 700.000 richieste di regolarizzazione presentate dopo l'entrata in vigore della Fini-Bossi" agli uffici postali, laddove le previsioni erano attestate su non più di 300-350.000 richieste. All'imprevisto che avrebbe forse messo in ginocchio altre realtà organizzative il Ministero ha saputo invece fare fronte piuttosto bene, disponendo peraltro dell'assunzione di 1.000 lavoratori interinali a sostegno delle prefetture per sei mesi. Ma di questo, anche, non si è parlato…
NELLA COLLABORAZIONE FRA IL "NORD" ED IL "SUD" DEL MONDO, LA SOLUZIONE AI PROBLEMI DELL'IMMIGRAZIONE
«La nuova legge italiana sull'immigrazione rappresenta un passo in avanti e credo che prima o poi tutti gli altri Paesi europei andranno nella stessa direzione». Il giudizio appena citato sulla "legge Fini-Bossi" (che nelle ultime settimane ha compiuto il suo primo anno di vigenza, essendo stata pubblicata il 26 agosto del 2002) non proviene da un politico della maggioranza "di casa nostra" bensì dal rappresentante di un Paese straniero che è parte in causa del problema, come l'ex ministro per gli Affari sociali ed attualmente ministro dell'Interno tunisino M. Hédi M'Henni.
Dalla Tunisia i flussi migratori verso l'Europa sono iniziati fin dagli anni 1950, subito dopo la proclamazione dell'indipendenza, ma solo recentemente, il governo di Tunisi ha deciso d'affrontare il problema anche tramite negoziati con i Paesi interessati fra cui l'Italia.
Il modo migliore per contrastare i flussi clandestini è, secondo il ministro M'Henni, «quello di stipulare accordi con i Paesi interessati in vista di un flusso regolamentato. In pratica i nostri connazionali non possono lasciare la Tunisia se non hanno la sicurezza di trovare un lavoro in Italia. Ci facciamo carico di chi intende immigrare con una serie di corsi dove s'impara a conoscere la cultura, la lingua, l'ambiente e le istituzioni del vostro Paese».
Tali corsi di formazione in loco sono stati istituiti negli ultimi anni sulla base di accordi con il governo italiano e costituiscono una realistica prospettiva di efficace integrazione e "politica dei flussi". Il "decreto-flussi" del "ministro del Welfare", emanato nello scorso giugno, ha, per la prima volta, previsto un "diritto di prelazione" per gli immigrati formati nel paese d'origine. In sostanza quegli immigrati che parteciperanno ai corsi di formazione avranno la quasi certezza di poter entrare in Italia.
Non vi è Stato del "vecchio continente" che non sia oggi interessato e scosso dal fenomeno immigratorio. E' quindi auspicabile una legislazione uniforme che ponga il lavoro quale criterio di distinzione fra immigrazione clandestina e non. Chi ha un lavoro può venire, restare, e col tempo far venire anche la sua famiglia: diversamente facendo s'importa solo miseria, disperazione e delinquenza.
La nostra, del resto, è una "Repubblica fondata sul lavoro", e se ciò vale per gli italiani, deve valere a maggio ragione anche per gli immigrati. L'immigrazione non è infatti un "diritto a priori", ma va in certo senso anche "meritato", appunto lavorando e ben comportandosi nel Paese d'accoglienza.
Uno dei punti di forza della nuova legge italiana sull'immigrazione consiste in quello che è stato definito il "principio della condizionalità", contenuto nel primo articolo della "Fini-Bossi". Esso è riassunto dalle parole del Sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, che è stato uno degli artefici della nuova normativa: «noi possiamo cooperare per lo sviluppo nei Paesi di provenienza degli immigrati, non abbiamo difficoltà a stabilire delle quote privilegiate per i flussi, ma tutto questo a condizione che ci sia il rispetto da parte di questi Paesi di accordi di riammissione, di polizia e giudiziari».
Tramite questo tipo d'accordi si raggiunge un duplice obiettivo. In primo luogo, quello di coinvolgere nella soluzione delle questioni che si connettono al fenomeno immigratorio, anche i Paesi interessati, facendo quindi appello anche al loro senso di responsabilità. Il secondo, non meno importante, scopo della cooperazione "Nord-Sud" consiste nell'efficacia dell'azione "anti-irregolari". Nel contrasto all'immigrazione clandestina, infatti, ciò che va prioritariamente perseguito non è il fermare in mare i gommoni o le imbarcazioni di fortuna, con i loro carichi di speranza e disperazione. L'obiettivo principale è piuttosto impedire che questi mezzi partano. Sempre ricorrendo a quanto affermato da Mantovano, essendo «fallita una politica di lotta alla clandestinità basata solo sul contrasto in mare. Occorre pensare a prospettive di medio e lungo periodo. Se si stabilisce che un paese potrà aver una quota riservata di 10.000 persone farà di tutto per impedire che dal suo territorio partano nuovi clandestini: altrimenti l'accordo salterebbe».
L'Italia sta ultimamente lavorando ad un accordo di cooperazione e rimpatrio con la Libia, simile a quello con l'Albania che ha fermato gli sbarchi nel Canale d'Otranto, data l'attuale concentrazione della rotta dei clandestini sul Canale di Sicilia, in particolare nell'isola di Lampedusa.
Durante la scorsa estate, infatti, 300 sbarchi a Lampedusa hanno provocato un gran polverone mediatico, che ha fatto (volutamente?) dimenticare i successi nel contrasto all'immigrazione clandestina sortiti sul resto delle coste italiane. I clamorosi sbarchi sono durati solo una decina di giorni, concentrandosi verso la metà del giugno. Subito dopo, anche in seguito ad opportuni "contatti" con la Libia, le "carrette" sono sparite: «è questo un buon segno - ha commentato allora il sottosegretario Mantovano -, un segnale positivo dell'importanza della collaborazione con la Libia».
Ciò a conferma che, la maggior parte delle "carrette del mare", parte ormai proprio dal Paese di Gheddafi e, se l'Unione Europea non rimuoverà l'embargo verso di esso, gli sbarchi in Italia non potranno essere mai del tutto fermati.
|
vedi i precedenti interventi |