ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato sul qindicinale CORRIERE DEL SUD
(Sezione:  n. 19   Pag   3  )
1 - 30 dicembre 2003

Giuseppe Brienza

 

 

La "Legge Fini-Bossi" sull'immigrazione: un anno dopo

 


(Terza parte)

L'embargo, infatti, impedisce di concedere alla Libia quel tipo di strumenti che hanno costituito oggetto di contrattazione negli accordi bilaterali con altri paesi, quali radar, elicotteri e motovedette, con cui contrastare le partenze. Sarebbe utile un'immediata revoca, anche se parziale, dell'embargo, sulla quale però non sono d'accordo i tedeschi.

Eppure, secondo quanto affermato dallo stesso Mantovano, «le rotte del canale d'Otranto sono praticamente chiuse grazie alla collaborazione con l'Albania, quelle verso la Calabria grazie alla collaborazione con la Turchia e si è ottenuta la chiusura del Canale di Suez alle carrette del mare grazie agli accordi operativi con la polizia egiziana, ma le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di uomini hanno individuato il punto più debole. La Libia subisce infatti forti pressioni interne dal Sud del paese per le migliaia di immigrati che puntano ai porti».

Il dramma dell'immigrazione clandestina sembra invece finito per quanto riguarda l'Albania. Era dal 1991 che l'Italia era invasa a più riprese dall'arrivo sulle coste meridionali del mare Adriatico di migliaia di albanesi. Il problema, oltre che annoso, era reso ancor più grave dalla connessione fra la criminalità organizzata albanese e la criminalità organizzata italiana, con annesso passaggio di stupefacenti, soprattutto marijuana, dalle coltivazioni avviate in Albania al mercato italiano ed europeo.

Dalla metà del 2002, però, dal "porto dei pirati" di Valona, gli scafisti sono scomparsi e non partono più gommoni. Questi si sono in parte spostati a più a sud, lungo le coste greche, dove i controlli si stanno rivelando molto più vulnerabili di quelli assicurati dalle pur sgangherate forze di polizia albanesi. Il problema è stato comunque drasticamente ridimensionato. Gli accordi di cooperazione e riammissione si mostrano pertanto una strada indispensabile. Nel novembre 2002 l'Italia ha ospitato un vertice dei Paesi aderenti all' "iniziativa Adriatica-Ionica" (che coinvolge Italia, Bosnia, Croazia, Jugoslavia, Albania, Grecia e Slovenia), i quali hanno sottoscritto un "Piano d'azione" per contrastare i trafficanti di esseri umani. Tra gli strumenti previsti, le pattuglie miste (composte da poliziotti di due Stati) per controllare coste e frontiere, e una rigorosa attuazione degli accordi di riammissione, anche nei Paesi terzi, dei clandestini espulsi.

Gli accordi bilaterali andrebbero inoltre tutti riprodotti a livello europeo, perché avere come partner non l'Italia o la Germania come singole nazioni ma l'U.E. nel suo insieme, avrebbe un senso incomparabilmente diverso, vincolando così in modo ancora più stringente il paese extracomunitario con il quale è necessario collaborare. Anche la questione delle "quote d'ingresso" degli immigrati dovrebbe quindi essere affrontata e stabilita su base europea.

Gli accordi di riammissione firmati sinora dal governo Berlusconi sono ben sei, ed ha un ben dire l'opposizione che il precedente governo del centro-sinistra n'aveva firmati una ventina, perché questi, in gran parte, erano rimasti poco o niente applicati.

Il 13 settembre scorso, in più, un altro risultato della positiva via della collaborazione fra Paesi "di uscita" e "di approdo" dell'immigrazione è stato raggiunto. Il ministro della giustizia Castelli ha infatti firmato, con il suo omologo rumeno, un accordo in base al quale i cittadini romeni immigrati condannati in Italia sconteranno la pena nel loro Paese d'origine. Si tratta dello stesso tipo di trattato firmato con l'Albania nell'aprile 2002.

Sembra quindi finalmente non lontano, potremmo dire a conclusione di questa nostra sintetica rassegna, il tempo in cui non vi saranno per gli extracomunitari che vogliano venire in Italia altre vie che quelle regolari. L'applicazione d'ogni principio d'accoglienza ed ospitalità, del resto, non dovrebbe mai trascurare la "reciprocità". Nel senso che, nonostante quanto vorrebbero certi demagoghi: non si entra sfondando la porta!

 

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