ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato sul qindicinale CORRIERE DEL SUD (Sezione: PRIMA PAGINA e Pag ) |
1 - 15 novembre 2003 |
Giuseppe Brienza
La "Legge Fini-Bossi" sull'immigrazione: un anno dopo
È passato un anno dall'approvazione della cosiddetta "legge Fini-Bossi" sull'immigrazione (n. 189, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 26 agosto 2002) ed è forse il momento di tentarne una prima valutazione. La questione immigrazione è d'affrontare invece sempre più a livello europeo, anche soltanto volendo considerare che, solamente il 20-25% di quanti sbarcano sulle nostre coste si fermano poi in Italia, la rimanente percentuale passa pertanto in diversi Paesi europei, soprattutto la Francia e la Germania. Il governo italiano ha così giustamente chiesto a più riprese ai partner europei di sostenere il principio della "condivisione delle spese". Fino ad ora abbiamo infatti sostenuto solo noi tutte le spese per i centri di permanenza, l'accoglienza, il soccorso. Pare, però, che i Paesi scandinavi non vogliano neanche sentir parlare di questa "condivisione". C'è da auspicare, oltre all'aspetto del sostegno economico al nostro Paese per gestire meglio i vari problemi, che la nuova normativa goda di un tempo di collaudo congruo, non soggetto alla discontinuità della politica. Questo poiché, i suoi primi risultati, a dispetto delle polemiche e della disinformazione, sono stati ben degni di nota. A giudicare almeno dalla radicale diminuzione del numero degli sbarchi di clandestini sulle nostre coste, che è giunto quasi all'azzeramento in regioni come Puglia e Calabria. La "legge Fini-Bossi", introducendo in Italia una prassi assunta da tempo da alcuni Paesi europei, ha permesso inoltre di venire incontro (anche se per ora solo parzialmente) alle aspettative di vari settori industriali, riguardanti l'importazione di tecnici. Il decreto del "ministro del Welfare" emanato nello scorso giugno, infatti, ha per la prima volta contenuto anche la possibilità di ingresso per 550 dirigenti super-qualificati, in linea con quanto hanno già fatto le autorità tedesche con gli informatici indiani. La recente istituzione dello "sportello unico per l'immigrazione" in tutte le Prefetture, poi, ha agevolato i nostri imprenditori che necessitino di assumere immigrati, prevedendo che tutte le pratiche amministrative riguardanti la regolarizzazione degli stessi facciano capo ad un unico ufficio, con ciò facilitando oltre che il lavoro delle altre amministrazioni pubbliche anche gli stessi immigrati. Eppure della nuova legge italiana sull'immigrazione ciò che ha maggiormente catalizzato l'attenzione di una stampa ed un'opposizione provinciali e preconcette è stata la possibilità di rilevare le impronte digitali ai clandestini. Strumento, quest'ultimo, definito dalle sinistre addirittura "di tipo fascista". Quest'accusa "ritorna" del resto in tutti quei casi in cui, essendo a corto d'argomentazioni, i progressisti di tutte le sfumature pensano di scagliarsi contro le politiche "non gradite" del centro-destra, come se si trattasse peraltro di una coalizione mandata al governo da una ventina di milioni d'italiani nostalgici del regime mussoliniano In realtà la legge non prevede altro che di rilevare le impronte a tutti gli extracomunitari, oltre che ai clandestini e a quanti si rifiutino di fornire le proprie generalità, all'atto del rilascio del permesso di soggiorno. Stiamo quindi parlando del sistema attualmente più usato, perlomeno in ambito europeo, per individuare univocamente una persona. Le impronte digitali sono state in quest'ultimo anno indispensabili (ne sono state finora rilevate oltre 600.000) anche perché, il governo, ereditava un "pregresso" di oltre un milione di irregolari e clandestini, che avevano rifiutato di dichiarare le proprie generalità. Potendo poi lo straniero senza permesso essere espulso con accompagnamento coattivo alla frontiera, nel 2002 si è riusciti ad allontanare oltre 11.000 clandestini in più rispetto all'anno precedente. L'utilizzo delle impronte così osteggiato in Parlamento dalle opposizioni si sta rivelando, quindi, sempre più lo strumento efficace per contrastare l'impunità. L'acquisita certezza dell'identità ha infatti più volte fatto emergere gli effettivi precedenti penali dei "fermati". Quello della reale effettività delle espulsioni è uno dei punti di forza della legge. Se lo straniero espulso dovesse rientrare in Italia senza permesso, si configura per lui la commissione di un vero e proprio reato. L'astratta configurazione di un reato, in questi casi, era già presente nella legge sull'immigrazione in precedenza varata dal governo di centro-sinistra, la c.d. "Turco-Napolitano". La "Fini-Bossi" ha avuto solo il merito di renderla effettivamente perseguibile inasprendo le pene e prevedendo l'obbligo di arresto nel caso di ulteriore reiterazione del rientro illegale in Italia ("recidiva"). Anche l'obbligo della "prova dattiloscopia", del resto, era presente fin dalla "Turco-Napolitano". Prima, però, essa era impiegata solo per identificare i richiedenti asilo ed i clandestini, ora si estende invece a tutti. Le impronte digitali sono inoltre rilevate agli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno ed a coloro che ne fanno domanda di rinnovo. Anche in questi casi, nulla di strano, come ha fatto notare anche il Sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano. Considerare vessatorio il rilevamento delle impronte (si tratta semplicemente di "scannerizzare" i polpastrelli), ha efficacemente commentato lo stesso, «equivale ad associare l'impronta ad un'immagine di Chicago anni '30», quando invece «è la stessa cosa che farsi fotografare. Mantovano, che è stato uno degli artefici della nuova normativa, difende giustamente le impronte digitali aggiungendo anche come, «Degli italiani possiamo conoscere anche i voti presi a scuola, mentre è facile che gli extracomunitari riescano a fornire identità diverse anche nel passaggio da una regione all'altra». Alle accuse di "razzismo" per la possibilità di rilevare le impronte, che pure non sono mancate (di solito rappresentano infatti quasi un "binomio", per il "pensiero politicamente corretto", con quelle di "fascismo"), si potrebbe obiettare che esse andrebbero alla stessa stregua recapitate anche a molti altri Paesi occidentali, e soprattutto africani, che da tempo fanno ricorso a questo strumento di identificazione. Altra questione che è stata ed è al centro della discussione riguarda l'impiego, nell'ambito di un decreto recentemente emanato che prevede il coordinamento e le modalità di intervento in mare delle Forze di polizia e delle forze armate previsto dalla "Fini-Bossi", delle navi della Marina Militare italiana per sorvegliare l'arrivo delle "carrette del mare". La Marina avrà pertanto la possibilità d'effettuare ispezioni a bordo e di accompagnare i natanti al porto più vicino. Non potrà invece usare la forza per contrastare in acque internazionali le imbarcazioni degli scafisti perché ciò è impedito dal diritto internazionale marittimo che non prevede il reato di traffico di clandestini e non consente, dunque, l'abbordaggio, bensì il solo inseguimento della nave sospetta. Entro le 12 miglia dalle acque territoriali è la Guardia di finanza a poter controllare le navi sospette, salendo a bordo e arrestando gli scafisti.
Anche se la repressione nei mari non è l'aspetto più importante per contrastare il fenomeno, ritengo comunque che prevedere anche la possibilità di distruggere le imbarcazioni degli scafisti una volta approdate sulle nostre coste, possa valere a deterrente dei novelli "Caronte" dei disperati.
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