ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su IL FOGLIO (Sezione:ANNO X NUMERO 112 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO) |
VENERDÌ 13 MAGGIO 2005 |
(ag)
Il passo falso sul referendum spinge Fini nel vuoto. Fedelissimi e capicorrente pronti ad abbandonarlo
Roma. Dentro An raccontano di un Gianfranco Fini amareggiato, irritato e recriminante. Colpito dalle indiscrezioni sulla sua vita privata e rassegnato a difendersi da ogni lato dacché ha capovolto la propria visione del mondo intorno ai quesiti referendari sulla fecondazione assistita. Alla sofferenza umana si aggiunge l’angoscia politica. Fini si accorge oggi che la sua certezza di disporre d’una coorte di fedeli con i quali ridisegnare il suo partito, stando alla realtà che ha di fronte, si sta rivelando un’illusione. Perché questi presunti fedeli lo hanno sconfessato, pubblicamente e politicamente, aderendo all’appello del comitato astensionista Scienza e vita. I più delusi da Fini, fra coloro ai quali lui avrebbe invece voluto affidare la rivoluzione interna, sono Alfredo Mantovano (che arriva a chiedere “un percorso nuovo”) e Mario Landolfi. Sullo sfondo già cupo pesano poi le scelte ostili dei capicorrente, da Gianni Alemanno e Francesco Storace (Destra sociale) a Maurizio Gasparri (Destra protagonista) e Adolfo Urso (Nuova alleanza). Alemanno si segnala in particolare per la distanza dalla posizione del leader che ha manifestato ieri proclamando il suo impegno militante in favore di un “astensionismo attivo” sul referendum (“sulla vita non si vota”, ha azzardato il ministro dell’Agricoltura). Da ieri Fini deve incassare anche l’addio di Gaetano Rebecchini, fondatore e presidente onorario della consulta etico-religiosa di An, utile uomo di collegamento con il Vaticano, oggi in definitivo dissenso con la linea laicista del vicepremier. Si racconta insomma che a far compagnia al capo siano rimasti Ignazio La Russa (socio di Gasparri), Altero Matteoli (ex socio di Urso). In questa prospettiva perderebbe credibilità l’antico sogno finiano – riesumato nelle ultime ore e ciclicamente riproposto nei momenti di difficoltà – di una lista personale in cui far confluire i maggiorenti del partito dopo aver svuotato An di senso ideale e progetto strategico. Ma c’è dell’altro. Se Fini è raffigurabile come un leader isolato, frastornato, diviso tra l’interventismo incau to con cui ha estromesso Gasparri dal Berlusconi bis e la tentazione di abdicare, per la prima volta nella storia di An la litigiosa compagnia finiana sembra si stia ricompattando attorno al desiderio di liberarsi del capo. Lo slogan che circola dalle parti dell’area più filoberlusconiana del partito è: “Uniamoci per cacciarlo”. In questo senso, il sostegno attualmente offerto da La Russa a Fini viene da molti interpretato come una mossa attendista giocata dalla corrente più debole, in questo passaggio, rispetto a quella di Alemanno. Una mossa concertata con Gasparri, per prendere tempo e negoziare una tregua interna con i sociali. I dirigenti di An si stanno abituando all’idea che per loro non si tratterà soltanto di disarmare le componenti in vista del congresso del 2006, come chiede Fini. Dovranno trovare il coraggio per decretare la conclusione del suo regno monocratico (“nordcoreano”, accusano i gasparriani) e approntare una redistribuzione di poteri in mancanza di un candidato alla successione. Al momento non c’è nulla più che un pensiero condiviso e qualche patteggiamento locale, come quello che dovrebbe promuovere l’alemanniano Giovanni Dima a coordinatore del partito in Calabria. Certo è che i più intraprendenti si stanno dimostrando i sociali. Loro hanno precorso mentalmente l’eclissi della leadership di Fini e al tempo stesso sono i primi ad avergli obbedito sciogliendo la corrente. L’autoscioglimento avrà la duplice funzione di congelare le altrui rendite correntizie (nessun avversario avrà il coraggio di lasciare inalterato il proprio sistema di clientele) e liberarsi di tanta zavorra interna rappresentata da esponennti di seconda fila in cerca di potere. In più, obbligherà le correnti, non appena estinte, ad affidare il proprio messaggio identitario a un circuito più snello fatto di riviste e di comitati e associazioni non direttamente riconducibili al partito. Per arrivare a una simile conclusione, i sociali hanno prima dovuto superare alcune incomprensioni fraterne (Alemanno voleva per sé il ministero delle Attività produttive ma l’ingresso di Storace alla Sanità gli ha ostruito il cammino). Adesso prendono le misure alla vacuità del progetto di Fini. “Il ragionamento – come suggerisce un dirigente alemanniano – è questo: orfano della visione d’insieme offerta in passato da Pinuccio Tatarella, Fini sta confermando i suoi difetti di qualità politica, di statura e di contenuti. Dopo gli eccessi del viaggio a Gerusalemme e l’apertura sul diritto di voto agli immigrati, questo suo entenere nesimo strappo sulla fecondazione, peraltro non concordato, dimostra che l’uomo non ha più idea di cosa sia la destra. Gli rimane una buona presenza scenica, la capacità oratoria, ma il resto è un vuoto a perdere che l’elettorato non comprende più e di cui la sinistra si può avvantaggiare facilmente. Questa sopraggiunta ‘fungibilità’ di Fini obbligherà presto tutti noi a un lavoro di supplenza”. I luogotenenti temono soprattutto l’incostanza di Fini, l’avventatezza con cui due settimane fa ha fatto irruzione negli equilibri correntizi che è poi la stessa con la quale da due giorni ha pregiudicato la solidità dei rapporti con il mondo cattolico e moderato. Fra le loro priorità, ora, c’è appunto quella di ripristinare certe amicizie. A cominciare da Roma, dove An ha opzionato con gli alleati della Cdl la candidatura concorrente a quella di Walter Veltroni per le comunali dell’anno prossimo. Alemanno da diversi mesi si prepara a competere per il Campidoglio e ieri, forse non a caso, Gasparri ha fatto sapere che lui non intende ostacolarlo.
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