ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su IL FOGLIO (Sezione:ANNO X NUMERO 135 - PAG 1 e 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO) |
GIOVEDI' 9 GIUGNO 2005 |
Assedio a Fini
Roma. Dicono, dentro An, che “la situazione sta precipitando”. I toni si fanno sempre più forti, e più salgono e più come bersaglio hanno proprio il leader del partito, Gianfranco Fini. E non si tratta più delle seconde file, dei berlusconiani in incognito a via della Scrofa. Sono i capi delle correnti, sono i dirigenti di primo piano. Un assedio del partito al leader del partito. Una minaccia concreta, se due sostenitori del vicepremier, seppure non di primissimo piano, come Enzo Raisi e Giuseppe Scalia, invitano: “Si attivino e facciano sentire le proprie ragioni” chi, dentro An, si riconosce in Fini. Una situazione inimmaginabile fino a poche settimane fa. E se i mugugni si erano già levati dopo la dichiarazione a favore di tre sì al referendum di domenica, ieri sono diventati un boato, dopo l’intervista al Corriere dove Fini definisce “diseducativa” l’astensione predicata dalla maggior parte dei dirigenti di An, e attacca i “partiti spregiudicati” che hanno strumentalizzato il voto. In poche ore, sul leader, è precipitato tutto il cielo di via della Scrofa.
Certo, a volte (ma non sempre) l’ossequio
formale al capo resta, ma la sua fragilità si
intuisce, il dissenso traspare per intero.
Chiaro nel caso di Gianni Alemanno. “Come
da parte nostra c’è stato sempre rispetto
per le posizioni del vicepresidente del
Consiglio, così pretendiamo un rispetto non
di maniera per le posizioni di chi si è schierato
sul fronte dell’astensionismo attivo –
dice il capo di Destra sociale – Termini come
‘diseducativo’ e ‘deresponsabilizzazione’
non possono essere accettati”. Altri dirigenti
usano toni più sfumati, ma nessuno
dei big di primo piano segue il leader.
“Nessun problema in An”, dice Maurizio
Gasparri. “Nessun problema”, giura il suo
successore al ministero, Mario Landolfi.
“L’intervista di Gianfranco non mi ha scandalizzato”,
assicura il capogruppo al Senato,
Domenico Nania. “Abbiamo passato momenti
più tesi”, si consola il suo collega alla
Camera, Ignazio La Russa. Ma ognuno di
loro ribadisce che si asterrà. Molti di loro
(come La Russa, e come Altero Matteoli) se
la prendono con le critiche finiane all’astensione.
E già così il partito è sottosopra. Se i dirigenti ex missini cercano ancora di tenere a freno i toni, gli ex democristiani del dopo Fiuggi, insieme alla componente più cattolica del partito, sono scatenati. “Fini ha consapevolmente puntato a una mutazione genetica del partito”, accusa Publio Fiori. “A questo punto – aggiunge Fiori – è chiaro che o Fini lascia An o An lascia Fini”. C’era l’ombra, l’accenno, il sospetto di qualche scissione, ieri su via della Scrofa. I finiani hanno trattenuto a stento la rabbia di fronte al movimento messo in piedi da Adriana Poli Bortone e Alessandra Mussolini. “C’è dietro Berlusconi”, è il lamento, e si chiacchiera di seggi promessi e di soldi garantiti. “Per quanto posso valutare, alle scissioni non credo assolutamente – confida l’ex capogruppo Gianfranco Anedda – Ma, onestamente, in politica il mai non esiste”. Né esiste, aggiunge, un’alternativa a Fini, “lui è il leader del partito, ma appunto deve fare il leader del partito”. Di certo, la leadership di Fini è invece bella che finita per gran parte della componente cattolica. A parte Fiori, ecco Gaetano Rebecchini, “profondamente addolarato e deluso”. Anche perché Fini, rivela, dopo la prima uscita “mi promise che non avrebbe mai più toccato pubblicamente l’argomento, nel corso di tutta la campagna referendaria”. Ieri, la sorpresa sul Corriere. C’è Riccardo Pedrizzi, secondo il quale le posizioni del suo leader sono “incomprensibili non solo per me, non solo per la stragrande maggioranza del partito, ma per la quasi totalità degli elettori di An”. Ma soprattutto, l’affondo micidiale arriva da Alfredo Mantovano. Ieri sera, a Bari, davanti ai ragazzi di Azione giovani, il cattolicissimo sottosegretario ha evocato il fantasma dei “contadini antigiacobini che qui in Puglia prendevano il forcone e lottavano”. Nell’affondo a quella che definisce “non volontà di questa (pseudo) destra di interpretare valori e principi che sono della (vera) destra di sempre”, non usa mezze misure. Domanda sprezzante: “La posizione di An sarà di ‘libertà di coscienza’ anche se e quando si discuterà di eutanasia?”. A soccorso di Fini, un po’ di amici personali nel partito, da Michele Buonatesta (“A nessuno venga in mente di trasformare questo confronto in un referendum pro o contro il leader del partito”) a Maria Ida Germontani (“Leale con i cittadini”). Onestamente, dichiarazioni che finiscono solo con il far risaltare proprio la solitudine del capo dentro An. Persino quelli di Azione giovani, sempre accomodanti, insorgono: “Non possiamo accettare che il presidente del partito giudichi tutto questo con parole liquidatorie”. An pare sul punto di scoppiare. Lo scioglimento delle correnti, imposto da Fini, ha reso il partito solo più instabile. Poi, la discussione sul partito unico fa il resto. Destra protagonista, “i finiani a cui Fini ha tolto tutto”, sono palesemente scontenti. Commenta Italo Bocchino: “O il partito è organizzato in correnti, o è il partito del leader, ma che al momento è anche ministro degli Esteri e difficilmente potrà trovare tempo. O almeno si applichi lo statuto in modo netto”. Per fine mese, la corrente di La Russa e Gasparri (dove “ognuno parla per sé”) ha convocato una riunione. In vista dell’assemblea nazionale dei primi di luglio. Che al momento si presenta drammatica. “Per quanto ci riguarda, la soluzione sta in una casa comune di cattolici liberali”, insiste Adolfo Urso. Corre contro il tempo, An. Forse corre anche contro il leader. Chissà se a caso, ieri Mantovano citava “Il signore degli anelli”, e la sua lotta con “molti nemici e tante difficoltà”.
|
vedi i precedenti interventi |