ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su IL FOGLIO (Sezione: PAGINA II ) |
Venerdì 10 ottobre 2003 |
Alfredo Mantovano
Dove si spiega che il Papa a Pompei ha celebrato Lepanto, prima vittoria dell’Occidente
Perché mai quest’uomo anziano e piegato su sé stesso, dopo aver toccato nei suoi pellegrinaggi gran parte delle città italiane e dei più importanti santuari disseminati sul nostro territorio, si è sottoposto al sacrificio di tornare il 7 ottobre, a Pompei? Il carico di sofferenze che porta con sé, e che non si può nascondere, gli impedisce con sempre maggiore frequenza di pronunciare i discorsi lunghi e articolati ai quali eravamo abituati; eppure il 7 ottobre non ha rinunciato a questo suo, pur breve, ennesimo viaggio. Si può intravedere un legame fra la visita alla Basilica del Rosario e la nostra stretta attualità quotidiana? E’ astruso per chi svolge attività politica interessarsi di un evento che ha caratteristiche in apparenza prevalentemente spirituali? Peggio, è espressione di fondamentalismo (non islamico, ma pericolosamente cristiano) attendersi da noi, inquilini dei palazzi della politica, un minimo di attenzione alla ragione che ha condotto Giovanni Paolo II nella cittadina campana? Partiamo dalle date, che spesso parlano nel modo più eloquente. Pompei ospita il santuario della Madonna del Rosario, la cui festa è stata istituita da San Pio V il 7 ottobre, nel ricordo della vittoria delle potenze cristiane contro i turchi al largo di Lepanto, avvenuta in quello stesso giorno, nel 1571. Il richiamo storico suonerà scandaloso per i laicisti in servizio permanente effettivo (e anche per qualche cristiano con ingiustificati complessi di inferiorità storica); ma, come diceva Fernand Braudel, “prima di far dell’ironia su Lepanto, seguendo le orme di Voltaire, è forse ragionevole considerare il significato immediato della vittoria. Esso fu enorme”. Se l’Europa non avesse vinto, l’Italia, e forse anche la Spagna, sarebbero cadute in mano ai turchi: e chissà quante allegre testoline oggi allegramente agnostiche girerebbero in libertà vigilata coperte dal chador. A Otranto è ancora vivo il ricordo della distruzione della città e del martirio degli ottocento uomini che nel 1480 sono stati decapitati dalle scimitarre dei turchi di Maometto II: l’effettività della minaccia e il suo persistere non hanno reso imprudente sbarrare loro il passo 90 anni dopo. Scopo di quella azione armata è stato quello di garantire alle popolazioni europee – già alquanto martoriate – quella difesa che è compito delle autorità politiche assicurare, affinché maturassero le necessarie premesse di una pace stabile nel Continente. Quale era lo scenario europeo all’epoca di Lepanto? La Francia faceva lega con i principati protestanti per contrapporsi agli Asburgo e si compiaceva della pressione che i turchi esercitavano contro l’Impero nel Mediterraneo. Parigi e Venezia non avevano mosso un dito per difendere i Cavalieri di Malta nell’assedio condotto contro di loro da Solimano il Magnifico. Ciò vuol dire che la vittoria di Lepanto non è stata il frutto della convergenza di interessi politici; al contrario, il trionfo si è verificato nonostante le divergenze. La straordinarietà di Lepanto sta nel fatto che al momento opportuno principi, politici e comandanti militari hanno saputo accantonare le divisioni e unirsi per difendere l’Europa. Questa unione si è certamente realizzata per l’impegno di uomini che non hanno disdegnato il nobile esercizio della leadership – come si dice oggi – ma soprattutto perché la politica europea del XVI secolo aveva ancora qualche aggancio con una visione del mondo sostanzialmente comune, fondata sul Cristianesimo. E oggi? Il panorama internazionale, pur così profondamente diverso rispetto al 1571, presenta qualche drammatica ana-logia con quello appena riassunto. Ciò che resta dell’Occidente euroamericano è attaccato dall’islamismo radicale: l’emblema di tale attacco è Ground Zero. L’Europa è priva di coesione reale: contrasti politici interni e ambigui ammiccamenti all’altra parte si sprecano. Sembra impossibile perfino inserire nel testo della Convenzione europea il vago richiamo ai valori cristiani, senza la cui plurisecolare traduzione nei fatti l’Europa sarebbe stata nient’altro che un’appendice dell’Asia, non avendo né l’estensione territoriale né l’omogeneità etnica di un continente. Se vogliamo difenderci efficacemente dall’attacco esterno per proteggere la nostra pace è necessaria una risposta unitaria. Ma attorno a che cosa ci si unisce se è venuta meno la visione del mondo che nel Cinquecento era ancora vitale? Se è venuta meno una visione del mondo omogenea è necessario sforzarsi di ricostruirla. E per far questo occorre cercare il perno attorno al quale riunirsi, una legge – in senso lato – il cui rispetto ci accomuni. Ma esiste? “Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall’errore” (Cicerone). Questa legge è impressa nella natura di ogni uomo, anche se non sempre viene percepita con chiarezza: e per questo, al di là di ogni deformazione, viene chiamata diritto naturale. Essa è il frutto della osservazione e della “scoperta” delle costanti naturali della persona e in essa la politica può trovare il fondamento per edificare la comunità; da essa il diritto positivo trae le coordinate entro le quali proseguire nella sua elaborazione. Rispettandola ci rafforzeremo, rafforzandoci ci difenderemo, difendendoci proteggeremo la pace europea, che non va mai data per scontata. Sulla base di questa legge, proprio perché fondata sulla natura dell’uomo, sarà più serio il confronto con i fedeli dell’Islam, e più realistica la possibilità di isolare al loro interno gli estremisti. Ma, come spesso accade, tra il dire (cultura politica) e il fare (politica) c’è di mezzo il mare della volontà umana. La reazione che il semplice avvio di un discorso del genere ordinariamente provoca è un misto di disappunto e di disprezzo. E’ considerato filosofia (rectius: chiacchiere), apprezzabile al più come cultura personale (rectius: non deve avere alcuna incidenza pratica): quando invece sarebbe così necessario concentrarsi sulle cose concrete (cioè sul potere). E, anche se una delle più importanti tornate elettorali che abbiamo all’orizzonte – quella del rinnovo del Parlamento di Strasburgo - interessa l'intero continente, il già avvenuto avvio della macchina propagandistica impedisce di andare oltre gli slogan, e l’azione politica si riduce alla lotta per rastrellare il maggior numero possibile di voti. E’ una tentazione che va combattuta, perché ora più che mai è necessario che il Vecchio continente ritorni a quella legge descritta dal nostro illustre antenato di Arpino. Il rispetto integrale del diritto naturale è la condizione fondamentale per giungere alla vera pace. A Pompei il Papa ha indicato la strada per raggiungere questo obiettivo, con parole e gesti invece vicini a una concreta lezione anche per la politica, perché questa sappia affrontare con criterio le sfide attuali.
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