ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL FOGLIO QUOTIDIANO
(Sezione:  PAGINA 3       )
Martedì 13 gennaio 2004


 

 

Dal Salento a Siena,la parabola del banchiere De Bustis

PER LA VENDITA DELLA 121 A MPS MANTOVANO ATTACCA D’ALEMA E LATORRE LO DIFENDE. LA VERSIONE DI PELLEGRINO


Bari. Approfittando dell’ennesimo scandalo determinato dai prodotti della Banca 121 (derivati commercializzati con i tranquillizzanti nomi di Btptel, Btpindex e Btponline) dell’era De Bustis, prima della vendita al Montepaschi di Siena e diluito, fortuna sua, sotto la pioggia informativa del crollo della Parmalat, il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano (An), ha deciso di tornare alla carica per denunciare quella che “è stata una operazione politica orchestrata da Massimo D’Alema ai danni dei risparmiatori”. Mantovano infatti si chiede “perché nel momento in cui i titoli arrivarono sul mercato non ci furono controlli” e si domanda anche “come mai, tra la fine del 2000 e il primo semestre del 2001 vennero fatte centinaia di assunzioni da parte dell’istituto di credito nel Salento proprio alla vigilia delle elezioni”?

Naturalmente Mantovano offre anche le sue risposte e cioè che “quel personale possa essere stato assunto su indicazione di una parte politica per fare campagna elettorale e che la stessa banca abbia fatto campagna elettorale per D’Alema, con il direttore generale Vincenzo De Bustis che gli mise a disposizione ogni genere di servizio e partecipò lui stesso alla campagna di Gallipoli, salendo sui palchi e rilasciando interviste. Non solo. De Bustis ha sostenuto il centrosinistra anche alle suppletive di Lecce del 1999, vinte da Alberto Maritati al Senato e da Cosimo Casilli alla Camera, e alle regionali del 2000”.

Questa vicinanza al centrosinistra e in particolare a Massimo D’Alema, per Mantovano “è sfociata nell’acquisizione dell’istituto leccese da parte del Montepaschi a un prezzo spropositato, primo passo verso la creazione e il controllo, da parte dell’allora presidente del Consiglio, del grande polo bancario Mps-Bnl, poi naufragato”.

Di fatto, gli anni tra lo scoppio di Mani pulite e la prima legislatura governata dal centrosinistra sono stati cruciali per la Banca del Salento, nome originario della “121” prima della trasformazione in banca virtuale proprio grazie alle capacità e alla disinvoltura di De Bustis che, al momento della cessione, la portò a una raccolta di 15 mila miliardi di vecchie lire e 52 miliardi di utili, con una rete di 220 punti tra filiali e negozi finanziari con 1.400 dipendenti e 1.700 promotori finanziari. Asset che insieme a qualche aiuto hanno portato nelle casse dei proprietari e in particolare delle famiglie Semeraro e Gorgoni che ne detenevano la maggioranza assoluta, ben 2.500 miliardi di lire.

“Li ho fatti incontrare io”

L’ingegner De Bustis prese le redini della Banca del Salento esattamente dieci anni fa e iniziò subito a rivoltare l’istituto come un guanto tagliando i costi fissi delle filiali tradizionali e avviando lo sviluppo nell’ottica del supermarket finanziario e dell’agenzia di relazione con il promotore a caccia spietata di clienti. Oltre a questo, intuì subito le potenzialità di Internet e spinse l’istituto ad approfittare al massimo della bolla speculativa, sia trasformandolo in virtual bank, sia creando prodotti disinvolti e altamente speculativi piazzati da agguerriti promotori, spesso, come sta emergendo dall’ultima e dalle precedenti inchieste giudiziarie, senza mettere al corrente i clienti che oggi si ritrovano, inconsapevolmente, con un pugno di mosche.

Nel settembre del 1996, forte dei risultati che stava ottenendo e con la prospettiva di raggiungere nuovi traguardi, spiega l’ex senatore ds Giovanni Pellegrino, “De Bustis e Gorgoni mi chiesero di incontrare Massimo D’Alema e non ci vidi assolutamente niente di male che due esponenti della più importante e dinamica banca della zona, come mi sottolineò anche il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio due anni prima, volessero conoscere il segretario del partito più importante del governo, nonché deputato della zona”. Sarà stato l’incontro della vita, fatto sta che mentre Gorgoni tornò subito nell’alveo “democristiano”, D’Alema e De Bustis si innamorarono, professionalmente parlando, e ne nacque una liaison che si intensificò via via per raggiungere l’apice quando il presidente dei Ds si sedette sulla poltrona di primo ministro al posto di Romano Prodi.

Ma se per Nicola Latorre, portavoce di D’Alema, “a Mantovano brucia ancora la sconfitta elettorale e per questo, appena trova uno spiraglio come quello dei nuovi fondi della 121, riparte con la solita offensiva strumentale e con i soliti temi come quello dei soldi e delle assunzioni durante l’ultima campagna elettorale”, proprio grazie a questo ennesimo spiraglio aperto dal pm di Trani, Antonio Savasta, si riesce a leggere sempre meglio l’operazione politica della vicenda e del banchiere intelligente e creativo “al quale – aggiunge Pellegrino – la proprietà della banca, come fece Berlusconi con Zaccheroni al Milan, lasciò fare senza mai intromettersi, intuendone le potenzialità e tollerandone le sue amicizie e la sua sensibilità di sinistra”.

Con l’istituto valorizzato oltre ogni aspettativa e messo sul mercato per le banche del Nord vogliose di crescere, si aprì un’asta praticamente vinta dal SanPaolo di Torino per 2.200 miliardi di lire, segno della valorizzazione che, indipendentemente dal colore, era riuscito a far ottenere De Bustis alla piccola Banca del Salento. Oltre all’espansione bancaria, la 121 però si prestava ad altro e per questo il presidente del Consiglio D’Alema riuscì a piegare il recalcitrante Pierluigi Piccini, presidente della fondazione Mps, che mise sul piatto altri 300 miliardi e digerì l’amaro boccone, De Bustis compreso. Il passo successivo per De Bustis doveva essere quello di fondere Montepaschi con Bnl e togliere definitivamente il controllo alla fondazione. Ma il progetto non è andato in porto e ha permesso al leader dei Ds senesi Pierluigi Fabrizi di approfittare dell’inchiesta giudiziaria sulla commercializzazione dei fondi “My Way” e “For You” della scorsa primavera per cacciare da Siena il banchiere pugliese di D’Alema.


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