ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (Sezione: IN PRIMO PIANO Pag. 2 ) |
Martedì 15 Aprile 2003 |
IL SOTTOSEGRETARIO MANTOVANO
«Il falso pacifismo in nome del Papa»
Vi è qualcosa di insopportabile nel modo col quale sono stati presentati i discorsi e le esortazioni del Pontefice sulla guerra. Insopportabile per il costante uso della tecnica della estrapolazione, accompagnata dalla costante strumentalizzazione delle sue parole. Sarebbe bello che il Papa ricevesse la stessa attenzione anche quando parla di altri temi, rispetto ai quali la reazione ordinaria, quella politicamente corretta, è l'indifferenza; quando non l'opposizione aperta. Pensiamo ai ripetuti e accorati interventi di Giovanni Paolo II sull'aborto, sull'eutanasia, sugli esperimenti di ingegneria genetica, sull'integrità della famiglia, sulla libertà di educazione. Qualche precisazione va fatta. Anzitutto, il magistero della Chiesa è infallibile sui principi, ma demanda la conoscenza dei fatti sui quali si applicano i principi a chi su quei fatti ha la responsabilità di intervenire. Nel Discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede del 13 gennaio scorso il Pontefice ha detto fra l'altro che «la guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell'umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l'esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell'uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. Che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle popolazioni dell'Iraq? Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni. Come ricordano la Carta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni». Non vi è quindi, nelle parole del Papa, né un pacifismo a oltranza né il principio di rifiuto totale del ricorso alla forza militare per indurre l'Iraq all'adempimento completo degli obblighi di cui alle risoluzioni ONU. L'Occidente cristiano, piaccia o meno, è l'obiettivo del terrorismo di matrice islamica, e degli Stati che lo appoggiano a vario titolo. All'alba del terzo millennio cristiano, la Grande Europa è stata trafitta lì dove è percepita come più forte dalle organizzazioni terroristiche islamiche: nel cuore degli Stati Uniti d'America. Gli islamici ci percepiscono come scorati e impauriti, specie noi europei. Opportunamente Bernard Lewis, in una recente intervista, a proposito della ricerca da parte dell'islam della grande rivincita, osservava: “Guai se non saremo forti”. L'assenza di una reazione forte da parte dei destinatari degli atti terroristici equivale (perdonate l'ovvietà) a far sapere che siamo deboli. E sui deboli si infierisce. Con i deboli nessuno tratta, li si annienta; in particolare, non trattano quei fedeli dell'Islam per i quali il Corano predica alla lettera lo sterminio dei miscredenti, con tutti i mezzi possibili. Non credo che Lewis evochi una politica da gradassi. Credo che, consapevolmente o meno, faccia eco al motto di S. Ignazio di Loyola, che ha contribuito non poco alla formazione dello spirito europeo. Diceva il fondatore dei Gesuiti: “Fa come se tutto dipendesse da Te”. E' il senso del discorso sviluppato fino a questo momento. Ma subito dopo aggiungeva: “Prega, perché tutto dipende da Dio”.
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