ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (Sezione: BARI CITTA' Pag. 26 ) |
Domenica 19 Gennaio 2003 |
Carlo Stragapede
Una delle cerimonie più affollate degli ultimi 10 anni.
Una delle cerimonie più affollate degli ultimi 10 anni. Come mai? Una interpretazione potrebbe essere questa: se il malato (traduzione: la giustizia) è grave, tutti accorrono. E parlano chiaro. I malanni del sistema giudiziario investono la vita di tecnici e non solo: giudici stressati dal superlavoro; avvocati costretti a spiegare al cliente imbestialito perché la causa slitta di un anno; cancellieri e assistenti giudiziari «mobbizzati» non dal superiore ma dalle pile di fascicoli; soprattutto i cittadini, destinatari non più di un servizio ma di un disservizio, se è vero che un procedimento civile in Tribunale dura in media 1.230 giorni, come rileva il procuratore generale Riccardo Dibitonto nella sua relazione. Se il paziente è grave, c'è una sola speranza per farlo guarire: fare una diagnosi serena anche se spietata. Via i fronzoli, si va al sodo. Il dottor Dibitonto si stacca dal testo e guarda dritto i 600 astanti, incurante che il collare di ermellino gli penzola dal braccio. Parole forti: «Il futuro criminale è la delinquenza economica e bisogna ben valutare il pericolo Albania dove giunge, prima di arrivare in Puglia, l'eroina proveniente dall'Afghanistan. Il terrorismo ci stupisce perchè genera morti, come è successo a New York, ma l'enorme quantitativo di droga che giunge sul nostro territorio uccide i nostri figli». Parole dette a volte con inflessione brindisina, nella foga. Un istante prima dell'inizio della relazione, Francesca La Malfa, dell'Associazione magistrati, consegna a Dibitonto una copia della Costituzione. Il pg vola alto, legge i fenomeni, senza frontiere: «La Puglia è a rischio terrorismo e in questo particolare momento storico non può essere sottovalutato il fondamentalismo». Il contrabbando «è solo meno visibile». Ancora: «È ridicolo parlare di separazione delle carriere». Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano: «Mi auguro - commenta a conclusione della relazione - che siano alle spalle non solo le inaugurazioni ma anche le polemiche perchè gli schieramenti contrapposti, più che ideologici, sono in termini di conservazione o di riforma effettiva. C'è un partito che non vuole le riforme, che ha esponenti nei diversi schieramenti. C'è invece un altro partito, pure trasversale, che vuole evitare le contrapposizioni, porre sul tappeto i problemi, così come è avvenuto stamattina, e cercare la soluzione di questi problemi». Non mancano i siparietti. Una collaboratrice di cancelleria domanda all'arcivescovo, mons. Francesco Cacucci: «Scusi lei chi è?». Dopo che il Presule si presenta, lei solerte: «Si accomodi in quella fila». La diagnosi della giustizia che non va è comune a quasi tutti gli interventi. Il direttore generale del Ministero, Vincenzo Barbieri, ammette: «Tutti noi siamo chiamati ad accettare la grande sfida di trasformare una macchina lenta e farraginosa in una snella, flessibile ed efficiente». L'Organismo unitario dell'avvocatura: «La politica della giustizia non ha una cabina di regia, si continua a navigare a vista senza alcuna possibilità di confronto sul merito delle questioni». Il Sindacato avvocati, per bocca di Giuseppe Castellaneta, mette l'accento sullo sfascio delle carceri: «Le condizioni dei detenuti sono terribili. I suicidi, i tentati suicidi, i pestaggi inflitti e subiti, il pensiero di famiglie incolpevoli condannate all'inedia ci rappresentano un orribile girone dell'Inferno dantesco». Il presidente dell'Ordine forense, Vito Nanna, auspica che «nel nostro distretto il problema della carenza degli organici, dell'assoluta insufficienza e inadeguatezza degli uffici giudiziari possa essere realmente impostato e risolto». I penalisti ritengono che «non può ancora tergiversarsi nell'istituzione di una commissione ministeriale che si occupi della necessaria revisione del codice di procedura», tuona l'Unione delle camere penali. Caustico l'on. Nichi Vendola, componente della Commissione antimafia: «Tutti possiamo leggere, lì sulla parete, le parole "la giustizia è amministrata in nome del popolo" (introdotta per volontà del ministro Castelli in aggiunta a "la legge è uguale per tutti", ndr). Io - ha aggiunto il parlamentare di Rifondazione - mi domando se il popolo debba essere inteso nel senso maggioritario, plebiscitario o come audience».
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