ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
(Sezione:  GAZZETTA DI BARI   Pag.   23  )
Mercoledì 15 Gennaio 2003

Carmela Formicola

I nuovi affari della criminalità organizzata sono più che mai sommersi, a cominciare dalle infiltrazioni nell'economia sana della città Ecco come la mafia ha cambiato volto

 

Da oggi in prefettura al via le audizioni della Commissione parlamentare


 

Ma di quale mafia vogliamo parlare se coppole e lupare sono roba vecchia, se gli amministratori gridano che la mafia non esiste, se le pistole tacciono e i boss sono chiusi in carcere? Ma siamo poi sicuri che fossero boss?

L'aria di revisionismo che si respira a più livelli, l'assenza di fatti eclatanti (agguati mortali, autobombe, intimidazioni), un 2002 tutto sommato tranquillo, suggeriscono ottimismo sul fronte della lotta ai clan. E allora? A caccia di quale crimine organizzato plana oggi la Commissione parlamentare antimafia (che dalle 9 comincerà le audizioni in Prefettura)? E quale fotografia forniranno all'organismo presieduto dall'on. Roberto Centaro magistrati e rappresentanti delle forze dell'ordine? Quali sono le vere emergenze?

Sommerso: questa è la parola chiave. Invisibile: questo è l'allarme. In un solco oscuro e spesso impenetrabile si muove il grande malaffare, i cervelli che continuano a reggere le fila del traffico di droga (a Bari ne scorrono fiumi), il gioco d'azzardo, l'usura, le estorsioni. Le estorsioni, e il loro corollario di omertà e reticenze, sono il vero sommerso. Nessuna denuncia, negano tutti. Anche il questore Giuseppe Zannini Quirini si è detto scettico rispetto all'esiguo numero di denunce. Però della pressione estorsiva parlano da tempo sia la Confesercenti sia il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, convinti del nuovo slogan del racket «pagare meno, pagare tutti».

Lo stesso Mantovano, nei giorni scorsi, ha poi parlato della pericolosa riconversione delle bande di ex contrabbandieri, un'enorme schiera di capi e manovali rimasti senza lavoro e senza reddito. Molti di loro hanno mutuato sistemi, metodi e uomini per trafficare droga; molti altri, la vera manovalanza, quelli che scaricavano le casse o che facevano le vedette, si sono dati alla criminalità comune, come furti, rapine o scippi. C'è poi un'altra ampia fetta di ex contrabbandieri (ma non i manovali) che ha deciso di investire i capitali messi da parte. Ed ecco l'apertura di negozi, bar e boutiques o la ristrutturazione di alcuni vecchi locali. L'economia parallela, l'economia invisibile. I soldi «sporchi» sono entrati dentro alla vita sana della città, il numero dei cosiddetti «negozi lavatrice» si è moltiplicato.

Però le indagini sui patrimoni delle ben note «famiglie» cittadine sono mosche bianche e sembra addirittura un'opera disperata, da parte di magistratura e forze dell'ordine, ricostruire le catene commerciali, i sistemi di scatole cinesi, i prestanome, certi titolari di conti correnti bancari o i referenti di alcune giovani società finanziarie.

Non contiamo i morti, perché per fortuna non ce ne sono. Allora contiamo i soldi dei clan baresi, che sono vivi e in collegamento diretto con le leadership chiuse in carcere. In più le «famiglie» vanno riorganizzandosi, come testimoniano le indagini di Polizia: al «San Paolo» c'è grosso fermento; Bari vecchia e Libertà sono bracieri mai spenti; a Japigia gli equilibri sono consolidati, ma c'è chi continua a tremare per le rivelazioni degli ultimi collaboratori di giustizia; perfino gli ambienti della «Madonnella» tornano a riaffacciarsi nel gioco degli equilibri tra gruppi, e le periferie sono feudi consolidati, Enziteto da una parte, la zona di Carbonara dall'altra.

Una mafia che sa tacere, che sa cambiare abito e volto, referenti e alleanze. Dovrebbe essere questa la mafia che viene a sondare, da oggi, la Commissione parlamentare.


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