ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su GAZETTA DEL SUD | Sabato 16 marzo 2002 |
Andrea Cangini
LA PROPOSTA DI FINI APRE UNA NUOVA POLEMICA
VIENNA – «Fosse per me, tornerei all'antico». E così, quella che era poco più di una battuta detta al margine della quarantacinquesima sessione della Commissione Onu sugli stupefacenti è diventato un caso politico nazionale. Fosse per Gianfranco Fini, dunque, la legge italiana tornerebbe al principio della «dose minima giornaliera», che nel '93 un referendum radicale ha trasformato nel più generico «modica quantità». «Un concetto ambiguo – accusa il vicepremier – affidato alla discrezionalità del pretore». Meglio dunque tornare all'antico, quando chi veniva sorpreso in possesso di droga oltre una (piccola) quantità ben precisa era incriminabile per spaccio. Punto e basta. «Invece oggi – continua Fini – c'è chi ha cento spinelli in tasca e dice che è per uso personale, mentre gli spacciatori si sono adeguati e girano con poche dosi per non essere incriminabili». E' solo la sua opinione, ha specificato, ma l'opinione del vicepremier non è l'opinione di un politico qualsiasi. E quando lui, a Vienna, parlava, il commissario straordinario del governo italiano per il coordinamento delle politiche contro la droga Sotgiu annuiva. «La normativa antidroga è vecchia di 12 anni e stiamo studiando il modo di aggiornarla», ha detto. E non appena la notizia è rimbalzata a Roma, An ha fatto quadrato annunciando la presentazione di un disegno di legge al Senato per tornare alla «dose minima». Sono felici, gli uomini di An, anche perché Fini, a Vienna, ha ribadito la scelta di abbandonare le politiche per la riduzione del danno (il metadone, come palliativo per chi non intende disintossicarsi). «Dev'essere chiaro – ha detto – che drogarsi non è un atto di libertà, ma un attentato alla propria salute e alla coesione sociale». Parole sufficienti a far infuriare Verdi e Prc, che hanno accusato il vicepremier di incompetenza e di «ottuso proibizionismo». Eppure, nel suo applaudito intervento all'assise dell'Onu, Fini ha evitato di battere solo sul tasto della repressione. Anzi: «prevenzione» e «recupero» sono state le parole che ha usato con più frequenza. Un esempio: secondo Sotgiu è assurdo che un tossicodipendente che al carcere preferisce la comunità e si disintossica corra poi il rischio di finire comunque in cella «magari per un residuo di pena». Anche su questo punto la normativa andrà rivista e a breve una conferenza nazionale sulla tossicodipendenza renderà pubbliche le novità oggi al vaglio del commissario straordinario. Ma a Vienna, ieri, Fini è andato per incassare il plauso dell'assise alla risoluzione voluta dall'Italia che impegna le Nazioni Unite a un maggiore coordinamento. «Perché – ha spiegato – il traffico di droga è spesso legato a quello di armi ed esseri umani e più in generale al terrorismo». Un occhio particolare all'Afghanistan, dunque, dove, ha detto il sottosegretario Mantovano, «l'oppio nascosto nei depositi e sufficiente a saturare il mercato mondiale per i prossimi 24 mesi». E dove, ha aggiunto Fini, «la coltivazione del papavero sta ricominciando». Occorrono pertanto investimenti, politiche integrate e grandi sforzi nazionali. Che l'Italia, a quanto pare, già compie. Siamo infatti il primo paese per stanziamenti (12.2 milioni di euro è la cifra annunciata ieri da Fini per la lotta alla droga) e in cambio abbiamo appena incassato la guida dell'Agenzia Onu per la lotta alla droga: a Pino Arlacchi è succeduto Antonio Costa. Un altro argomento caldo è quello della procreazione artificiale. Ammettere la fecondazione omologa solo all'interno di una coppia di coniugi. Lo dice Riccardo Pedrizzi, responsabile nazionale di An per le politiche della famiglia, in vista dell'esame da parte dell'aula di Montecitorio della legge sulla procreazione assistita. «Non siamo d'accordo – afferma Pedrizzi – ad ammettere la fecondazione assistita omologa anche per le coppie di fatto. Se il criterio legislativo da scegliere è quello del prevalente interesse del figlio, il requisito del matrimonio è indefettibile. Del resto la fecondazione medicalmente assistita non è lo strumento per consentire a chi lo voglia di esercitare un inesistente diritto al figlio, ma solo il rimedio (non la cura) all'infertilità di coppia. Si capisce benissimo, peraltro, che chi opera per il riconoscimento delle unioni di fatto, si pone sulla linea di un uso ideologico della fecondazione medicalmente assistita, quale strumento per svuotare ulteriormente di significato e di rilevanza pubblica e sociale l'istituto familiare tradizionale».
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