ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su il Gazzettino
(Sezione:     Pag.     )
Mercoledì 20 novembre 2002

Mario Antolini

Prove di dialogo sulla giustizia


 

Prove di dialogo, sulla giustizia, che sembrano ancora lontane da un qualsiasi risultato armonico: il centrodestra spinge per una riforma (e i più ottimisti già si avventurano a delineare alcune soluzioni), ma il centrosinistra si divide e qui le aperture dei pochi sono frenate dagli altolà dei molti. Il doppio scossone degli arresti dei No Global e della condanna per Andreotti ha riacceso i riflettori sul problema: ma sul palcoscenico i due poli recitano in stridente contrasto.

È soprattutto a sinistra che la rappresentazione assume toni discordanti. Le caute aperture di Fassino non sono piaciute al correntone ds, ai Verdi, al Pdci, a settori della Margherita. Al punto che il segretario dei Ds, ieri, prima ha messo alcuni paletti al dialogo con la Cdl sulla giustizia: avvenga in Parlamento, a carte scoperte senza «né tavoli, né accordi sottobanco, né inciuci, né ipotesi bipartisan», lontano dal «circo Barnum politico-mediatico» per discutere «seriamente» delle riforme necessarie, che non possono essere quelle fin qui adottate dalla maggioranza. Poi si è trovato a dover intervenire di nuovo, in giornata, per frenare gli entusiasmi accesi nel centrodestra (che gli creavano problemi coi suoi) e per replicare alle contestazioni mossegli dal centrosinistra. La disponibilità di Fassino a discutere dei problemi della giustizia era stata infatti accolta con estremo favore dalla Cdl: per Schifani, Fassino aveva finalmente «capito che così non è più possibile andare avanti», per il ministro della Giustizia Castelli il leader dei Ds «era stato fulminato sulla via di Damasco», per il neo ministro degli Esteri Frattini «era quello che si aspettava il presidente del Consiglio Berlusconi».

Troppo davvero, per Fassino. Già criticato dai suoi, il segretario Ds ha dovuto replicare che «naturalmente Frattini cerca di tirare la coperta dalla sua parte». Nei fatti, il centrosinistra aveva già lasciato Fassino da quasi solo, scoperto. Rutelli (Margherita), per esempio, aveva messo in chiaro che ci si può sedere ad un tavolo «solo se si è sicuri che il mazzo di carte non è truccato e con la certezza che non lo fanno saltare». Fabris (Udeur) è favorevole all'apertura del dialogo con la Cdl «purché non si traduca nel solito approfittare della situazione per risolvere i problemi personali, vedi il presidente del Consiglio, e di chi si autopropone come rappresentante esclusivo del partito dei giudici, vedi Ds e Margherita».

Oggi «non c'è alcuna condizione per avviare un lavoro comune fra maggioranza e opposizione», troncava netto Pagliarulo (Pdci). «È mia convinzione che con questa maggioranza non è possibile intavolare una discussione costruttiva», sibilava Leoni (Ds). Per Violante (Ds) deve essere chiaro la separazione delle carriere dei magistrati e l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge non si mettono in discussione. E se i verdi Pecoraro Scanio e Cento avvertono che prima viene l'indulto e solo dopo le riforme della giustizia, ma aggiungono di non credere affatto che se ne possa discutere con la Cdl, è dal correntone Ds che arrivano i giudizi più drastici: Vita invita Fassino a «sgombrare il campo da equivoci» perché «dopo vere e proprie lesioni sullo stato di diritto, come la legge Cirami, non è proprio immaginabile qualsiasi confronto costruttivo in materia», Folena spiega che non si può discutere «con questa maggioranza preoccupata solo delle sorti di Berlusconi», Salvi ammonisce che in materia di giustizia non è opportuno prendere decisioni «sull'onda dell'emotività» e Franceschini (Margherita) è d'accordo con lui. Anche questa volta, per Fassino è troppo: «Non parlo sull'onda dell'emozione - reagisce - ma sulla base dell'esperienza vissuta per più di un anno come ministro della Giustizia». E precisa di pensare ad una verifica della applicazione della riforma del processo penale, a maggiori risorse per la magistratura e alla depenalizzazione per alcuni reati minori.

In questa situazione, ben poco spazio sembra avere l'ottimismo di alcuni esponenti della maggioranza. Per Pecorella (Fi) la condanna di Andreotti «costituisce l'occasione per rimeditare come funziona la giustizia in Italia», perché «non si può andare avanti con una giustizia che è una lotteria». Giovanardi (Udc) propone di ridurre i gradi di giudizio: «L'appello ha scarsamente senso quando un imputato viene assolto in primo grado, e allora si potrebbe passare direttamente in Cassazione». Per il sottosegretario all'Interno Mantovano (An) è tempo di «intervenire contro alcune norme di diritto penale che consentono ai magistrati una estrema discrezionalità». Più cauto Follini (Udc) preferisce non parlare fin da ora di contenuti, ma invita tutti a «scendere dalle barricate». Invito serio, ma fin qui piuttosto inascoltato.


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