ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su
il Gazzettino (Sezione: Prima Pagina segue a pag 18 ) |
Giovedi' 5 Settembre 2002 |
di CARLO NORDIO
LA TREGUA NECESSARIA Due eventi positivi potrebbero favorire una tregua del conflitto tra politica e giustizia. Il primo è la saggia decisione del presidente Casini, che allungando i tempi della legge Cirami ha gratificato l'opposizione senza scontentare la maggioranza. Il secondo è la proposta dell'on. Mantovano di sospendere per un paio d'anni ogni riforma su codici e processi, per evitare che questi diventino, come già sono, un'incomprensibile arlecchinata. Le ali estreme degli schieramenti hanno mugugnato: gli ipergarantisti che vorrebbero tutto e subito, a costo di sfasciare quel che resta della giustizia; e i girotondini, che nel loro furore giacobino vorrebbero un'Italia governata dalle manette facili. Queste ali estreme hanno, di fatto, una convergenza di interessi, perché entrambe vedono nell'avversario una sorta di Male incarnato. Mentre chiunque abbia a cuore i fondamenti del diritto, cioè che il colpevole non resti impunito e l'innocente non sia condannato (e nemmeno processato) non può che auspicare una tregua e un compromesso ragionevoli. Ma a quali condizioni sono possibili?
Per comprenderlo, occorre partire da una considerazione da noi già espressa più volte: che l'Italia è divisa in due. Una buona metà è convinta che alcuni magistrati, e alcuni politici, si servano dei processi per eliminare Berlusconi. E l'altra metà è convinta che Berlusconi si serva delle leggi per eliminare i suoi processi. Nel mezzo, si sta affermando una corrente di pensiero secondo la quale entrambi hanno ragione, essendo ambedue le ipotesi vere, o almeno verosimili. Questa contrapposizione paralizza il Paese e avvelena la democrazia. La soluzione ideale sarebbe (sarebbe stata) quella di ibernare la materia del contendere, sospendendo tanto le leggi, quanto i processi, occupandosi di cose più urgenti - economia, imposte, grandi opere, ordine pubblico - sulle quale è più congruo maturare un giudizio politico, e ritornare alla giustizia in momenti migliori, con progetti organici e coerenti. Ma per sospendere i processi contro i parlamentari la via costituzionalmente corretta sarebbe la reintroduzione dell'immunità: un procedimento lungo e laborioso. La maggioranza lo sa e l'on. Mantovano, che è anche un bravo giurista, ha giocato di anticipo. Ha offerto una tregua virtualmente senza contropartita. Ma poiché in politica nessuno fa niente per niente, è da chiedersi quale potrebbe essere una contropartita ragionevole. Quella che appunto porterebbe a una soluzione.
La contropartita potrebbe essere un chiaro impegno dell'opposizione a non servirsi delle sentenze, quali esse siano, per delegittimare, come oggi si dice, gli avversari. Impegno serio, e non meramente formale, perché nessuno ammetterà mai di strumentalizzare la giustizia per far politica. Ma poiché questo a suo tempo è avvenuto in maniera cruenta, e talvolta disgustosa, e lo stesso Berlusconi ne è stato la vittima più illustre, le garanzie dovrebbero essere sostanziali. In fondo le sentenze dei giudici sono, fino al momento dell'irrevocabilità, sindacabili e provvisorie. Quelle del voto popolare sono invece, fino alle successive elezioni, insindacabili e definitive.
È possibile questa soluzione? Probabilmente no. La proposta Cirami è già in dirittura d'arrivo. Sacrosanta nel contenuto, ma inopportuna nei tempi, ha alimentato i reciproci sospetti: a carico della maggioranza, per la fretta nel presentarla, e a carico dell'opposizione per l'accanimento nell'impedirla. Come se effettivamente la prima volesse servirsene per bloccare le sentenze di Milano, e la seconda volesse evitarla per profittare di un'eventuale soccorso giudiziario. Si aggiunga il delirio giustizialista dei girotondini: esso è vissuto con disagio dai partiti del centrosinistra e dai loro esponenti più avveduti, ma la sua sconfessione implicherebbe un prezzo troppo alto per un'opposizione ancora debole. E le voci levatesi a chiedere le dimissioni dell'on. Pecorella, sol perché era iscritto a Brescia nel registro degli indagati, dimostrano quanto sia ancora radicata la tentazione di confondere politica e giustizia, piegando la prima alle incertezze della seconda. Eppure la tregua è necessaria, ed altre soluzioni non se ne vedono. O almeno, ammesso che ce ne siano, non se ne vuole parlare.
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