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Articolo pubblicato su il Giornale (Sezione: Il fatto Pag. 6) |
Martedì 19 luglio 2005 |
Mario Sechi
Tre presidenti e un nuovo patto di ferro
da Roma «Non c'è più tempo da perdere. Non è più tempo di rinvii né di astuzie. Se i partiti della coalizione si sono uniti sui punti di fondo allora bisogna agire subito e non dopo le elezioni. Oggi si può dire che è nato il partito unitario del centrodestra». Pierferdinando Casini si leva in piedi, stringe la mano di Marcello Pera e mette il sigillo all'intesa tra la presidenza del Senato e quella della Camera. L'appuntamento di ieri a Palazzo Rospigliosi era stato preparato con cura dagli sherpa di Palazzo Madama e Montecitorio. La Fondazione Magna Carta aveva lavorato fin dalla primavera alla cornice ideologica del partito unitario, nell'agenda la data ideale dell'uscita pubblica doveva essere quella dell'8 luglio, ma la strage di Londra aveva suggerito di spostare il dibattito. «Questo appuntamento è importante, dobbiamo parlare del partito dei moderati, ma quello che è successo a Londra ci impone una pausa» aveva detto Casini a Pera mentre Tony Blair pronunciava in Scozia un discorso destinato a entrare nella storia. E così il convegno su «Una politica. Un partito» ha subito uno slittamento che ha consentito a tutti di riflettere, sedimentare e rielaborare la strategia anche alla luce dell'attacco di Londra, nel cuore dell'asse euroatlantico. La sera del 7 luglio, il presidente del Senato e il gruppo di Magna Carta si era ritrovato al ristorante Celestina ai Parioli. Al tavolo con Marcello Pera, Nicolò Zanon (professore di diritto Costituzionale a Milano), Giovanni Orsina (direttore dell'Istituto Luigi Einaudi), Gaetano Quagliariello (professore di storia alla Luiss) e Francesco Valli (manager della British American Tobacco, consigliere di Magna Carta). Una tavolata di anglofili colpita dall'acuto di dolore di Kings Cross. La cena si trasforma in un convivio politico dove i professori svolgono le loro tesi. Quagliariello, Zanon e Orsina prendono la parola a turno e illustrano le loro relazioni. Pera ascolta, tutte le considerazioni a margine diventano appunti. Emerge un quadro chiaro: la politica della Casa delle libertà deve rispondere a nuove domande degli elettori. Il voto di Francia e Olanda alla Costituzione Ue, il referendum sulla procreazione in Italia, il magistero di Papa Benedetto XVI, il Vecchio Continente vaso di coccio tra i giganti della globalizzazione e l'attacco di Al Qaida a Londra hanno un unico filo conduttore. La politica ne deve cogliere il percorso e serve uno sforzo di tutti i leader del centrodestra. In gioco c'è la rappresentanza politica del blocco dei moderati. Dopo il convegno di ieri qualcuno dirà che i destini della Casa delle libertà si stanno decidendo senza l'uomo che l'ha inventata. Non è vero, perché Pera tesse la tela diplomatica con Berlusconi. Il presidente del Senato ha incontrato il premier martedì scorso, gli ha illustrato le conclusioni a cui è approdato e il percorso possibile con tutti i leader della Cdl. L'incontro è cordiale, franco, il premier ascolta e invita Pera ad andare avanti. Fu proprio una cena tra Berlusconi, Letta e Pera a lanciare la proposta di casa comune dei moderati. Fu Berlusconi a parlarne subito in un discorso alle Camere dopo il giuramento del governo bis al Quirinale. È da quel giorno che il presidente del Consiglio ha chiesto ai partiti di accelerare la corsa sul progetto e ha parlato di separazione tra leadership e premiership. La saggia posizione di Berlusconi sul referendum del 13 giugno è frutto anche di questa riflessione. E non è un caso che Pera e Casini abbiano ricordato come il referendum sia uno spartiacque. «Se nessuno vuole intestarsi la vittoria, beh allora me la intesto io» ha scherzato Pera strappando il sorriso al pubblico. In virtù di quella scelta Berlusconi può giocare tutte le sue carte sul tavolo di una nuova intesa tra laici e cattolici. «Nessuno vuol rifare la Dc» ha detto Casini in un appuntamento che per Ferdinando Adornato, il politico di Forza Italia che più si è speso sulla costruzione del partito unitario, «è una data storica». Più prudente Fabrizio Cicchitto, segno che in Forza Italia il dibattito è ancora aperto. Accanto a Casini c'era Roberto Formigoni, governatore della Lombardia, la roccaforte azzurra. Pacche sulle spalle, reciproci riconoscimenti, il segno che antiche diffidenze sono crollate. Adolfo Urso e Alfredo Mantovano, insieme maggioranza e minoranza di An, hanno chiesto di «fare in fretta, subito». Quell'esortazione è ancor più significativa di fronte ai travagli di An e della leadership di Gianfranco Fini che - anche questo non è un caso - è in crisi dopo la scelta del leader di votare «sì» al referendum. La certificazione di una frattura con il gruppo dirigente di via della Scrofa che nel partito unitario potrebbe avere subito la sua ricomposizione. E Fini ci sta pensando. Tutti i fili sparsi della politica italiana sembrano ritrovare una trama nell'intervento di Pierferdinando Casini. Un discorso da leader, leale con Berlusconi («l'uomo che ha dato una risposta giusta alla politica italiana nel '94»), pronto a giocare la partita della riforma elettorale («se si deve fare una riflessione sul proporzionale, allora è meglio farlo oggi») e più che mai disponibile al varo della nuova casa comune («il tema di un partito dei moderati è un tema per l'oggi e non per il domani»). Oggi e non domani. Pera ha alzato la palla, Casini l'ha schiacciata, ora Berlusconi può raccoglierla e continuare a giocare la partita del centrodestra italiano
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