ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su L'INDIPENDENTE (Sezione: Pag. 2) |
Mercoledì 2 marzo 2005 |
di Alfredo Mantovano
Dalla parte del più debole
I referendum e i non voto
Giovanni Sartori è uomo di cultura e scienziato della politica. Ne va rispettata l’erudizione, senza che ciò obblighi ad affidarsi alle sue opinioni. Lunedì scorso sul Corriere della Sera si è lanciato in una analisi “tra teologia e politica” a proposito dei referendum sulla fecondazione artificiale. E però, scrivendo di “fede”, egli mostra una conoscenza imprecisa dell’argomento poiché, a sostegno della tesi che fede e ragione sono due aree prive di reciproca interferenza, afferma che “se Dio esiste è materia di fede”; peccato che il Catechismo della Chiesa Cattolica (Libreria editrice vaticana, 1992), proprio alla luce degli autori che Sartori degna di citazione e di stima (Sant’Agostino e San Tommaso), descriva le “vie” razionali che portano alla conoscenza di Dio, insegnando che non è necessaria la fede per comprendere che Dio esiste (cf. Catechismo, nn. 31–35). Ancora; l’illustre politologo si chiede quale è la differenza fra “vita” e “vita umana”, e lancia strali alla “chiesa di Papa Wojtyla”, rea di avere smesso di parlare dell’anima. Peccato che al n. 33 il Catechismo descriva l’uomo come essere in grado di percepire attraverso il senso comune – quindi senza l’ausilio della fede – i segni della propria anima spirituale. Dalla fede alla ragione. Scrive Sartori che la scintilla della vita scocca nell’uomo all’atto della fecondazione, cioè della congiunzione dello spermatozoo con un gamete femminile. E tuttavia – sentenzia -, non è vita umana: “La vita umana è diversa dalla vita animale perché l’uomo è un essere capace di riflettere su se stesso, e quindi caratterizzato da autoconsapevolezza. (…) la vita umana comincia a diventare diversa, radicalmente diversa da quella di ogni altro animale superiore quando comincia a «rendersi conto». Non certo da quando sta ancora nell’utero della madre. (…) Non posso uccidere un futuro, qualcosa che ancora non esiste. Se uccido un girino non uccido una rana. (…) l’asserzione (la terza del quesito referendario sul quale andremo a votare) che i diritti dell’embrione sono equivalenti a quelli delle persone già nate è, per la logica, una assurdità”. È vero, un embrione ancora non si “rende conto”. D’altronde, né i neonati né i bambini piccoli si “rendono conto”; e nemmeno taluni anziani. E’ certo però che se si sopprime il concepito non ci sarà più nessuna persona che si “rende conto”. Viceversa, se si accoglie, si nutre e si lascia vivere quello stesso concepito, esso progressivamente inizierà a “rendersi conto”. Quanto infine alle staminali embrionali, è facile osservare che una ricerca scientifica che degrada l’embrione a strumento di laboratorio non è degna dell’uomo: la ricerca in campo genetico va incoraggiata e promossa, ma non è giusto sopprimere un essere umano per curarne un altro (posto peraltro che promettenti prospettive di successo sono già state sperimentate utilizzando le cellule staminali adulte). Serve confutare tali sofismi? Chi in passato ha letto senza pregiudizi le opere di Marx si è convinto che non avrebbe retto alla prova dei fatti perché illogico e contro natura; ciò non ha impedito il dilagare del comunismo, sospinto da passioni profonde, da sostegni finanziari e da personaggi spregiudicati. Egualmente oggi, benché i sostenitori del “Sì” non si basino su affermazioni vere, la propaganda per l’abolizione della legge 40 prosegue, mossa non da una logica razionale, bensì da passioni ideologiche e da interessi individuabili, che puntano su un’ampia legittimazione popolare per agire indisturbati. Per questo i referendum devono fallire con il non voto: è il modo umile e concreto per schierarsi dalla parte del più debole.
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