SOTTOSEGRETARIO DI STATO AL MINISTERO DELL'INTERNO Dipartimento della Pubblica Sicurezza |
Lettera Aperta
Ill.mo Sig. Presidente poiché, per la prima volta dopo molti anni, non sarò presente all'inaugurazione dell'anno giudiziario nella Corte di Appello di Lecce, mi permetto di scriverLe per illustrargliene le ragioni, al fine di non generare confusioni con forme di protesta annunciate da altri. Si tratta di ragioni strettamente connesse all'ordine pubblico nel Salento, quindi rientranti nella sfera della mia competenza istituzionale. Nei giorni scorsi decine di persone condannate in primo grado a oltre due secoli di reclusione per fatti di criminalità organizzata sono tornate in libertà: ciò è avvenuto non per una diversa valutazione delle prove a loro carico, né perché ritenuti non più pericolosi, bensì perché il giudice dell'udienza preliminare che ha pronunciato la sentenza di condanna non ha depositato nei termini la relativa motivazione, facendo così inutilmente decorrere la durata massima della custodia cautelare. Il dispositivo della sentenza è del 4 ottobre 2000, al termine di un giudizio abbreviato (sic!): da quella data, cioè da oltre 15 mesi, la motivazione non è stata ancora scritta. E' superfluo sottolineare la gravità delle conseguenze di questa omissione: anni di lavoro delle forze di polizia e della magistratura inquirente sono vanificati. Personaggi dei quali si presume la non colpevolezza fino alla definitività della condanna, ma che comunque sono stati ritenuti responsabili da un giudice di alcuni dei più efferati delitti consumati nel Basso Salento negli ultimi anni, tornano a incutere timore nei luoghi di provenienza. Sulle nostre forze dell'ordine, sottoposte a un lavoro straordinario, viene aggiunto un insopportabile supplemento di fatica, derivante dalla necessità di controllare soggetti che esse avevano già assicurato alla giustizia. Le nostre popolazioni sono disorientate e non comprendono come possa accadere tutto ciò. Benché il ministero dell'Interno stia gradualmente innalzando il livello di sicurezza in questa zona, come testimoniano i dati confortanti delle Questure del territorio della Corte d'Appello di Lecce, riesce difficile gestire un lavoro doppio, derivante da episodi come questo. Non è la prima volta che accade qualcosa del genere: nel mese di settembre e in una sede istituzionale come il Parlamento, avevo segnalato al ministro della Giustizia - che sta esaminando il caso - un'altra omissione da parte di un g.i.p. di Lecce, che non aveva motivato su più della metà delle posizioni di una ordinanza di custodia cautelare, così provocando l'annullamento dell'ordinanza stessa e la scarcerazione di indagati di gravi delitti di mafia. Né allora né oggi gli uffici direttivi del Tribunale o della Corte hanno assunto provvedimenti, né l'A.N.M. ha ritenuto di stigmatizzare gli episodi: anzi, a settembre l'ANM di Lecce addebitò a me una sorta di interferenza nell'attività giurisdizionale. Come magistrato - se pure in aspettativa - non posso non constatare con amarezza che la rivendicazione da parte della magistratura della capacità di curare sé stessa naufraga di fronte a certe clamorose, inammissibili e non occasionali manifestazioni di inefficienza, rispetto alle quali non segue alcuna dissociazione come corpo. Come ex magistrato di questo distretto ricordo che dieci anni fa la sconfitta della sacra corona unita è dipesa anche dall'assenza di comportamenti come questi. Ritengo, per tali motivi, che nell'aula magna della Corte d'appello di Lecce ci sia ben poco celebrare. Roma, 11 gennaio 2002
Alfredo Mantovano |
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