ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su Liberazione
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Mercoledì 26 Febbario 2003

Checchino Antonini

Oggi giornata di mobilitazione nazionale: alle 17 corteo a Pisa. Intenso dibattito sulle forme di lotta nella coalizione pacifista

Ovunque contro la guerra




Nemmeno un treno della morte, oggi, sulla rete ferroviaria italiana. E' l'intenzione dei gruppi "no war" che hanno indetto la giornata nazionale di mobilitazione contro i trasporti di guerra lungo i binari, nelle stazioni e in altri snodi stradali valorizzando tutte le differenti pratiche che sono patrimonio di ciascuna delle anime del movimento dei movimenti. Ovunque, in Italia, le reti locali risponderanno all'appello del Fse ma l'epicentro della protesta sarà localizzato certamente a Pisa. Nella città, militarizzata in occasione dei raid ferroviari delle armi tattiche Usa, si snoderà un corteo che partirà alle 17 da piazza S. Antonio ma la giornata dei manifestanti, che sono attesi a migliaia, sarà densa di impegni «prima, dopo e durante», naturalmente sui binari, come annunciano i disobbedienti che già ieri con un blitz hanno fatto sventolare la bandiera della pace anche dal tetto della stazione.

Per le organizzazioni e i movimenti che hanno promosso il Forum sociale europeo, quella di oggi sarà una giornata cruciale per la tenuta della coalizione "Fermiamo la guerra", il cartello che ha portato in piazza i milioni di persone del 15 febbraio e i cui rappresentanti si riuniranno di nuovo venerdì mentre sabato e domenica sarà la volta dell'assemblea nazionale del movimento trasferita da Firenze a Livorno. Ancora ieri, infatti, i "piani alti" di Acli e Cisl hanno ribadito la propria contrarietà ai blocchi ferroviari e anche la campagna "Mettiamo un freno alla guerra", sostenuta dai disobbedienti, non è condivisa dalla totalità delle anime (ma è appoggiata dai ferrovieri dell'Orsa). Fosse stato «un semplice cittadino» sarebbe sceso in piazza anche Alessandro Plotti, ma è l'Arcivescovo di Pisa e vicepresidente della Cei e si "limita" a esortare i suoi concittadini a «manifestare in tutti i modi perché avete ragione», raccomandando di farlo in maniera pacifica poiché teme «un'altra Genova».

La Rete di Lilliput, ieri, ha voluto far notare «l'estrema difficoltà che la cultura politica tradizionale dimostra» nel superare un'immagine «stereotipata del non violento». Non violenza, spiegano i lillipuziani, non coincide con la legalità e ricordano che «sciopero e obiezione di coscienza non sarebbero diventati patrimonio comune se qualcuno non li avesse praticati illegalmente». L'invito alla molteplice coalizione "Fermiamo la guerra" è quello di contaminarsi e sperimentare pratiche di obiezione e boicottaggio generalizzate. «Dissociarsi, star distanti», spiegano a Lilliput, aiuta la repressione e intacca la credibilità del centrosinistra. Al contrario, i nodi della rete di Lilliput condividono e appoggiano i blocchi dei treni "armati": «La disobbedienza civile è non violenza e la seconda, per teoria e storia, include la prima», dice Massimiliano Pilati.

Intanto i disobbedienti, attraverso Luca Casarini, hanno annunciato al sottosegretario Mantovano di avere anche loro un "piano B": dopo aver ostacolato i convogli diretti a Camp Darby, (la più grande base americana all'estero, situata tra Pisa e Livorno) una seconda fase vedrà sforzi diretti a impedire il trasporto di armi tattiche verso la Turchia attraverso la Slovenia e la Croazia.

Sul versante sindacale, Pezzotta (Cisl) ripete il no ad azioni che ritiene «illegali» ma Giorgio Cremaschi, della segreteria Fiom, attribuisce ai blocchi di questi giorni («da sostenere») il merito di «rendere evidente una palese violazione della Costituzione». Anche il direttivo della Cgil rilancia con un ordine del giorno «la sua contrarietà all'utilizzo delle infrastrutture pubbliche per il sostegno alla guerra e chiede al governo un chiarimento» sulla sicurezza di lavoratori e trasportati per una scelta «in ogni caso sbagliata avvenuta al di fuori del Parlamento». La formula utilizzata dal "centro" della Cgil - «siamo per la non violenza e la legalità democratica e costituzionale» - non appoggia esplicitamente i blocchi ferroviari ma rimanda alla più macroscopica illegalità costituita dalla guerra e propone alla sua "periferia" di investire energie per assemblee in fabbriche, scuole e altri luoghi di aggregazione anche per manifestazioni a livello locale con tutti i soggetti che hanno promosso il 15.

Senza ricadute concrete, invece, lo storico incontro tra Cisl, Cgil, Fiom e l'arcipelago dei sindacati di base (Cobas, Cub, Sin. Cobas ecc...) tuttavia l'inedito tavolo romano, che aveva all'ordine del giorno la proposta di uno sciopero generale (già indetto dagli autorganizzati e dalla Fiom) prelude alla possibilità di trovare «terreni unitari» - come auspica da Milano, Luciano Muhlbauer del Sin. Cobas - con assemblee comuni nei luoghi di lavoro e senza perdere di vista la «dimensione europea». Anche il documento del direttivo Cgil si chiude con l'impegno della segreteria «lavorare perché il prossimo esecutivo della Ces trasformi le mobilitazioni del 21 marzo per il modello sociale europeo in iniziative contro la guerra ( come succederà alla scadenza milanese indetta per il 15 marzo dalla Cgil per i diritti)».


 

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