ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su il manifesto (Sezione: Società Pag. 7 ) |
Domenica 11 gennaio 2004 |
CINZIA GUBBINI
Strage nel Canale d'Otranto
Venti morti e sette dispersi. Ennesima tragedia del mare, un'eco che arriva da lontano nella nostra memoria: gli sbarchi dall'Albania. Era partito infatti da Valona il gommone di dodici metri che ha fatto naufragio nella notte di ieri. Solo in undici si sono salvati, tutti uomini, da ieri pomeriggio ricoverati nell'ospedale di Valona. Sono state le motovedette della guardia costiera italiana, partite dalle coste albanesi, a recuperare il natante e già da lontano era possibile vedere un mucchio di corpi accatastati, per metà coperti dall'acqua che aveva riempito il gommone. Solo una volta attracati nell'isola di Saseno, dove è di stanza la Marina italiana, è stato possibile fare il macabro conteggio dei corpi: diciassette uomini e tre donne. Le cause della morte non sono chiarissime, anche se tutti tendono ad accreditare l'ipotesi della morte per assideramento. L'altra sera il mare era forza 6, tirava un forte vento, pioveva. Nella notte la temperatura è scesa due gradi sotto zero. I cadaveri presentavano escoriazioni sulle mani, a testimoniare il disperato tentativo di aggrapparsi alle cime che corrono intorno allo scafo. I sopravvissuti raccontano di un disastro, con due dei quattro motori andati a un certo punto in avaria (nonostante lo scafo fosse nuovo, al suo primo viaggio, pare acquistato in Italia) e poi della morte, uno per uno, dei compagni di viaggio. La sciagura ha un retroterra oscuro e preoccupante, che ha già causato un terremoto in Albania. Tra i sopravvissuti ci sono infatti i due scafisti, uno dei quali è Artan Rokai, studente universitario e figlio del capo dell'antiterrorismo di Scutari: tutte le persone a bordo del gommone provenivano proprio da lì (e avevano pagato 1500 euro a testa). Rokai padre è stato arrestato, e con lui il capo della polizia stradale di Valona, che è risultato essere zio dell'altro scafista, nonché il vicedirettore del porto di Valona, fratello del proprietario dello scafo. Insomma, dietro il naufragio si allungano le ombre di un viaggio organizzato da funzionari di alto livello dello stato albanese, riportando a galla vecchie storie che hanno riempito le pagine dei giornali quando da quelle coste partivano decine di gommoni ogni mese, con un business di cui partecipavano anche le alte sfere. E non basta, perché come vedremo il tragico viaggio della notte scorsa potrebbe esser stato solo parte di un movimento più complesso. L'ondata di polemiche che ha scosso ieri l'Albania parte infatti dal modo in cui si sono mossi i soccorsi, messi sotto accusa in particolare dai familiari delle vittime, accorsi da Scutari per riconoscere i cadaveri. In effetti i soccorsi sono scattati solo dopo che intorno alle 20 una tv privata - Top channel - ha mandato in onda il messaggio di uno dei viaggiatori (pare uno degli scafisti, amico del proprietario dell'emittente) che lanciava l'allarme. Telefonate sono arrivate anche a una radio privata, sempre attraverso cellulari. A quel punto si è venuto a sapere che la polizia era a conoscenza della partenza del gommone già dal pomeriggio, da quando cioè il gommone è salpato: perché non ha fatto nulla per fermare il mezzo, che rischiava moltissimo? Solo sulla scorta dell'emozione causata dal messaggio in diretta tv sarebbero partite le ricerche. E con seri intoppi, perché l'Albania non ha a disposzione navi adatte a far fronte a un mare in tempesta. Sono stati chiamati in causa italiani e greci. L'Italia ha fatto alzare in volo due aerei dell'esercito e ha sguinzagliato due motovedette, ma solo ieri mattina si è riusciti a individuare l'esatta posizione del gommone. Ma le domande sull'inerzia della polizia si sommano al «mistero» che riguarda un secondo gommone, della cui presenza in mare per tutta la notte era girata la voce. Secondo la marina militare italiana si è trattato di un equivoco: siccome le telefonate parlavano di quaranta persone a bordo, si era pensato che i gommoni fossero due. Altre fonti dicono invece che il secondo gommone esisteva davvero e trasportava droga (business fiorente dalle coste albanesi) e che quindi quando è arrivata la telefonata - che parlava della presenza di molte donne e persino di bambini - si pensava che a lanciare l'allarme fossero i trafficanti di droga, senza che ci fosse alcun «carico umano» a bordo. Per questo i soccorsi sarebbero stati presi un po' sottogamba. La presenza in mare di un gommone carico di droga (o altro) potrebbe anche far pensare a un legame tra i due viaggi: forse la decisione poco comprensibile di imbarcare trenta persone su un gommone in una notte di tempesta è in qualche modo legata al viaggio dell'altro carico; oppure, più probabilmente, il ritardo nel mobilitare i soccorsi è legato alla necessità di «non disturbare» il viaggio misterioso. Non sarebbe la prima volta che la stessa organizzazione impegnata nel traffico di droga mette le mani anche su quello di persone. Anzi, per molto tempo è stato così, finché trasportare immigrati non è diventato troppo pericoloso, visti i numerosi controlli (che invece non vengono effettuati su altri traffici). Dall'agosto 2002 sono diminuiti drasticamente gli arrivi dall'Albania perché, ha dichiarato ieri il sottosegretario agli interni Alfredo Mantovano, «la polizia albanese collabora efficacemente». Il ministro Pisanu ha espresso cordoglio ma ha assicurato che la vicenda non comprometterà i rapporti con l'Albania. Il presidente e il vicepresidente albanese ieri sono giunti a Valona, e per lunedì hanno indetto il lutto nazionale. L'opposizione, polemica per la lentezza dei soccorsi, ha deciso invece di celebrare il lutto nazionale oggi.
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