ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su il manifesto
(Sezione: exvoto       Pag.     3)
Mercoledì 15 Giugno 2005

GIOVANNA PAJETTA

DESTRA

  

 Fini sfida i colonnelli di An

Nessun passo indietro all'esecutivo di oggi. Alemanno resta dimissionario


 

ROMA

Per evitare che l'appuntamento di oggi, l'ufficio politico di An convocato per le 15 in via della Scrofa, si trasformi in un massacro, Gianfranco Fini ha deciso di fare qualche mossa, se non altro di buona educazione. Ieri mattina ha telefonato a Gianni Alemanno (che il giorno prima, sprezzante, aveva fatto contattare solo dal capo della sua segreteria) e nel pomeriggio c'è stato un lungo incontro tra i due contendenti. Ma alla fine si è per l'appunto salvata solo la forma, perché il presidente di An non ha fatto, né annunciato per oggi nessun passo indietro. Come dice uno dei suoi fedelissimi «Fini le conclusioni le ha già tratte ieri (lunedì, ndr), ora ascolterà cosa diranno gli altri. Se qualcuno pone un problema...ma mi pare che non lo faccia nessuno, o no?». Traduzione, se Alemanno, Mantovano o gli altri contestatori vogliono mettere davvero sul piatto il problema della leadership, abbiano il coraggio di farsi avanti.

E' la tattica del logoramento, quella che del resto Fini ha sempre seguito. E finora, va detto, con notevole successo. Ieri, e forse anche oggi. Perché anche se all'ufficio politico Gianni Alemanno non ritirerà le sue provocatorie dimissioni da vicepresidente di An, difficilmente oserà alzare il tiro. Questa mattina sul Secolo apparirà un suo articolo che chiede genericamente «una nuova Fiuggi», ma negli ambienti vicini al leader della Destra sociale c'è chi già si accontenta di quello che definisce «un clima molto più disteso». Giudizio in realtà smentito dalla ridda di dichiarazioni, e lamentazioni, messa in scena anche ieri da deputati, quadri intermedi o vecchi dirigenti di Alleanza nazionale.

Chi ad esempio non ha assolutamente intenzione di smorzare i toni, è Alfredo Mantovano. Anche ieri il sottosegretario agli Interni (anche lui dimissionario dalle cariche di partito) ha ribadito infatti che quelle prodotte da Fini «non sono ferite facilmente rimarginabili». Per non parlare dell'altro esponente dell'ala cattolica di An, Publio Fiori, che insiste nella sua difesa del «partito dei valori». E che ripete il suo slogan «o Fini lascia An, o An finisce di vivere». Nessuno dei due però sfiderà oggi apertamente il leader, preferendo, come fa Mantovano, rinviare lo scontro alla più ampia e rappresentativa Assemblea nazionale del 2 e 3 luglio. Un «parlamentino» composto da ben 500 dirigenti e quadri locali, che metterà in mostra, se non sul palco certo nella platea, un partito sull'orlo dello sfascio.

Le ferite di cui parla Mantovano nascono infatti prima e vanno ben oltre la questione del referendum sulla fecondazione assistita. Controllata con mano ferrea, quanto ondivaga, per dieci anni da Gianfranco Fini, Alleanza nazionale pare arrivata vicino al punto di non sopportazione. Tanto che in molti, qualunque sia la corrente di appartenenza, guardano con simpatia persino alla proposta estrema di Teodoro Buontempo. «I continui strappi al dna di An mi fanno dire che chi non crede ci sia più spazio per una destra politica in Italia deve scegliere di confluire nel partito unico - dice papale papale il vecchio Er pecora - Coloro che invece ancora ci credono, diano vita a un soggetto che si richiami alle nostre radici e alla nostra storia». Una separazione che Buontempo auspica «consensuale, senza odi né rancori», che rimarrà un sogno ma che potrebbe assumere l'aspetto di un incubo per il leader. Appena attenuato dalle palesi difficoltà che sta incontrando, non certo solo in An, il «partito nuovo» di Silvio Berlusconi.


    

 

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