ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su il manifesto
(Sezione: exvoto       Pag.     3)
Giovedì 16 Giugno 2005

GIOVANNA PAJETTA

 

  

 Fini vince il primo round. Alemanno resta solo

Lo scontro in An rinviato all'Assemblea di luglio. «L'identità della destra? Nel partito unico» dice il leader


 

ROMA

Gianfranco Fini si è aggiudicato il primo round, e forse non solo ai punti. Se infatti Francesco Storace esce da via della Scrofa dicendo «è stato un incontro interlocutorio, ma un chiarimento dovrà esserci», basta guardare in faccia il grande contendente, Gianni Alemanno, per capire come è andato il tanto atteso ufficio politico di Alleanza nazionale. «Non ho nulla da dichiarare, l'appuntamento è rinviato all'assemblea del partito di luglio. Le mie dimissioni rimangono» è infatti l'unica, stentata frase che i cronisti riescono a strappare al leader della Destra sociale. Molto meno laconico, e decisamente sorridente appare al contrario Gianfranco Fini. «Nessuno ha chiesto le mie dimissioni» esordisce trionfante il presidente di An. Poi, segnato il punto, spiega a più riprese qual' è la strada su cui intende trascinare il suo riluttante e mugugnoso partito. O quantomeno il contesto. Ovvero quel «grande rassemblement», come lo chiama ora Fini, proposto da Silvio Berlusconi alla Casa delle libertà. Su questo infatti, sull'entrata di An nel futuro partito unico, il leader intende incentrare (mettendo sotto il tappeto il referendum sulla fecondazione assistita) l'Assemblea nazionale di An del 2 e 3 luglio.

Convinto di spuntarla, così come l'ha spuntata ieri in via della Scrofa. «Credo che ci siano tutte le condizioni per una definizione unitaria del giudizio che doverosamente An deve dare per quel che riguarda l'evoluzione del sistema politico italiano» spiega infatti convinto. E poco conta se in realtà quel progetto è di là da venire. Fini sceglie di fare come il premier, che ieri ha impavidamente dichiarato «il partito unitario ci sarà, anzi c'è già», e indifferente alle remore di buona parte del partito insiste nel dire che «l'identità della destra deve essere sempre definita all'interno di questo progetto». Basta, in altre parole, con le lamentazioni sul tradimento dei valori fondanti (l'accusa lanciata in questi giorni soprattutto da Publio Fiori che da Alfredo Mantovano). Perché adesso, taglia corto il leader dopo un richiamo tutto formale a Fiuggi, «si deve ridefinire l'identità politica di An nell'anno di grazia 2005, alla luce dell'evoluzione del sistema, mentre siamo alla guida del governo del paese e alla vigilia di una campagna elettorale importante».

Non che tutti gli abbiano dato ragione, nelle due ore e più di riunione dell'ufficio politico. Alemanno infatti ha attaccato duramente sulla dolente vicenda referendaria, seguito a ruota da Publio Fiori. Ma gli altri colonnelli hanno fatto finta di non sentire, da Urso a Gasparri, passando ovviamente per La Russa e Matteoli, hanno subito accettato entusiasti la promessa di Fini di portare all'Assemblea di luglio un «documento politico» e la proposta di indire per settembre o ottobre una «conferenza programmatica». Decisamente poco per chi, come l'ex dc Fiori, viene ora già dato in uscita da An (le voci parlano di una sua possibile apparizione il 25 giugno al grande abbraccio democristiano organizzato da Cirino Pomicino), o per Mantovano, la cui rottura con Fini è ormai anche personale. E forse per Gianni Alemanno, anche se in realtà sulle intenzioni di quest'ultimo (che ha avuto nel pomeriggio un nuovo incontro con Fini) nessuno si sbilancia. Le sue dimissioni sono per l'appunto ancora in piedi, e il ministro delle Politiche agricole sta valutando se arrivare all'Assemblea di luglio con un proprio documento. Ma non è affatto detto, soprattutto dopo la riunione di ieri, che sarà così. Con gran malumore di tutti, nella Destra sociale. Dove l'opposizione, anche o soprattutto al futuro partito unico, resta forte. E dove qualcuno già si chiede da chi mai il loro leader si sia lasciato convincere ad alzare tanto i toni dello scontro interno, senza capire che ben pochi al dunque l'avrebbero seguito.


    

 

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