ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su il manifesto (Sezione: Società Pag. 7 ) |
Martedì 17 Giugno 2003 |
CINZIA GUBBINI IMMIGRAZIONE Il ministero del welfare, fabbrica di clandestini
ROMA Il ministro Umberto Bossi accusa la maggioranza di voler «boicottare la legge che porta il mio nome». Singolare, perché se c'è qualcuno che frena la piena attuazione della Bossi-Fini - rendendola persino peggiore di quello che è - è proprio la Lega, che sulla pelle degli immigrati ha sempre giocato a ridisegnare i poteri nella coalizione, nonché a riscrivere le regole del rapporto con le parti sociali. Grazie agli interventi mirati del ministro Maroni, che dalla cabina di regia del ministero del Welfare conduce la guerra padana contro gli immigrati, la Bossi-Fini ha trovato applicazione solo nelle sue parti più feroci. La prima cosa che ha iniziato a funzionare a pieno ritmo sono state, per esempio, le espulsioni selvagge (e comunque le forze di polizia lamentano la mancanza di fondi). Per il resto la legge è in alto mare: i ministeri litigano per la definizione dei decreti attuativi, del testo unico neanche si sente più parlare, la regolarizzazione secondo stime ufficiose ha raggiunto solo il 25% delle domande trattate; e nonostante l'ultima corsa di Maroni all'approvazione di un decreto flussi (con una quota risicata: 19.500) ancora si sconta il ritardo di un intero anno - il 2002 - passato con le frontiere italiane chiuse. Come si ricorderà, è stato proprio il leghista Maroni a sostenere la scelta di non approvare il consueto decreto flussi (annunciato, invece, dal sottosegretario agli interni Mantovano) prima dell'approvazione della legge di centrodestra sull'immigrazione. Quel buco - associato al fatto che storicamente le quote degli ingressi sono insufficienti - non ha fatto altro che aumentare l'emergenza attuale. La Lega sembra non capirlo, ma se è impossibile per gli immigrati entrare in Italia legalmente, è chiaro che allora aumenteranno coloro che cercano di farlo illegalmente. Che il ministro Maroni abbia il compito di mandare all'aria la politica migratoria in Italia (o almeno quel poco di politica che è possibile fare con una legge nata male) è cosa nota ai sindacati. Neanche un mese fa Cgil, Cisl e Uil si ritrovarono con bandiere e striscioni sotto il ministero di via Veneto per denunciare il mutismo del ministro. Maroni si rifiuta addirittura di rispondere alle loro lettere. «Se vogliamo parlare con Maroni non è per una strana ossessione - spiega il responsabile dell'immigrazione della Uil, Guglielmo Loy - il ministro già sa che questa legge non ci piace, e non ci interessa ribadirlo in sua presenza. Qui si tratta di sbrogliare una situazione confusa, risolvere questioni di pura natura amministrativa». Per esempio la semplificazione amministrativa: se c'è un aspetto positivo nella Bossi-Fini è la promessa di istituire uno sportello unico per permettere ai datori di lavoro di semplificare le pratiche per far entrare in Italia un lavoratore straniero. Il presidente della Coldiretti Paolo Bedoni - che apprezza l'attenzione di Maroni per l'agricoltura - ricorda: «Le procedure sono troppo farraginose e ho chiesto personalmente a Maroni di accelerare i tempi». Il ministro ha promesso a Bedoni che a settembre lo sportello unico sarà realtà: ma come dimenticare che fu proprio un emendamento della Lega a inserire nella legge la necessità di verificare la disponibilità di un lavoratore italiano prima di chiamare uno straniero? E si può continuare all'infinito: è stato Maroni a bloccare l'iniziativa del ministero degli interni che tentava di permettere il subentro di un nuovo datore di lavoro per gli immigrati in via di regolarizzazione che perdono il posto; è stato Maroni a definire «un atto illegittimo, unilaterale e inaccettabile» la circolare voluta da Mantovano che ha permesso agli stranieri di denunciare il padrone che si rifiutava di regolarizzarli. Per non parlare dell'infuocato periodo dell'approvazione della Bossi-Fini: da quando la Lega si opponeva all'estensione della regolarizzazione anche ai lavoratori subordinati a quando Maroni propose di restringere la sanatoria ai soli lavoratori stranieri con un contratto a tempo indeterminato.
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