ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su il manifesto | Giovedì 23 maggio 2002 |
CINZIA GUBBINI
Immigrati sotto tiro La Turchia parla di sei feriti, ma le autorità turco-cipriote confermano: una persona è morta nella sparatoria che ieri mattina ha coinvolto la guardia costiera turca e una «carretta del mare» diretta in Italia con 243 immigrati. La notizia desta preoccpuazione, in un clima politico europeo che aizza il fuoco sulle responsabilità dei paesi che sono fonte di immigrazione irregolare senza attuare alcuna forma di contasto. La dinamica dei fatti è difficile da ricostruire, sia per la scarsità di informazioni, sia per le versioni contrastanti fornite dalla Turchia e dalle autorità turco-cipriote (cioè della parte settentrionale di Cipro occupata dalla Turchia, che la considera una propria reppublica). Secondo le autorità turco-cipriote, la nave guardia costiera turca ha intercettato all'alba di ieri una nave carica di immigrati, guidata dai soliti trafficanti, a circa 32 chilometri dell'isola. Alla nave è stato chiesto di spegnere i motori, sono stati sparati dei colpi in aria. Dalla carretta hanno risposto al fuoco, e altrettanto ha fatto la nave turca uccidendo una persona e ferendone altre cinque. In serata, però, l'agenzia di stampa turca Anadolu ha riportato una notizia diversa: i feriti sarebbero sei, e non sarebbero stati colpiti dagli spari della nave turca, ma sarebbero stati vittime di una rissa a bordo, scoppiata tra chi si voleva arrendere alla guardia costiera e chi invece voleva proseguire il viaggio. Il governo turco ha rifiutato di commentare la notizia. Gli immigrati erano partiti dal porto di Mersin, nella Turchia meridionale, la maggior parte dei passeggeri erano turchi (probabilmente kurdi), oltre a qualche cittadino marocchino e iracheno. Ora, che il morto ci sia, o che sia solo un ferito grave; che i feriti siano stati causati da una rissa, oppure dagli spari della guardia costiera, il problema rimane: si può decidere di aprire il fuoco contro una nave carica di esseri umani? Insomma, un conto è contrastare i trafficanti (cosa che andrebbe fatta a terra, e non in mare), un conto è fermare a tutti i costi nuovi immigrati. L'obiettivo, come è evidente, è diverso. E poi, si può affidare il «contrasto» a un paese come la Turchia che non brilla per il rispetto dei diritti umani? Si spera che sia uno dei temi del mega vertice europeo sulla sicurezza, organizzato dal ministro degli interni italiano Scajola, che si svolgerà il 30 maggio al Viminale. L'Italia presenterà un «piano di fattibilità» per la costituzione di una polizia europea di frontiera. E guarda un po', tra gli invitati - insieme ai 13 "eurocandidati" - spicca il nome della Turchia. «Nella scorsa legislatura abbiamo presentato un importante dossier in cui veniva dimostrato che nel traffico di migranti irregolari è coinvolta la mafia turca, in connivenza con importanti settori del ministero dell'interno turco», dice Giovanni Russo Spena, deputato del Prc. Insomma, l'immagine «mediatica» delle vecchie navi stracolme di persone, è solo la fine di una storia che parte da lontano e che spesso vede coinvolti gli stessi stati. «Per questo sosteniamo - prosegue Russo Spena - che sia pericoloso stringere accordi per il contrasto dell'immigrazione "clandestina" con un governo come quello turco». Governo che, peraltro, tenta da anni di entrare a far parte dell'Unione europea (anche se consistente è il partito di coloro che preferiscono schierarsi con gli interessi americani). Finora la richiesta è stata sempre bocciata anche in ragione della dura repressione messa in atto contro la minoranza kurda; ma diventare il «cane da guardia» d'Europa potrebbe essere un biglietto da visita gradito. D'altronde il governo italiano in questi mesi ha avuto numerosi rapporti con la Turchia: il sottosegretario agli interni Mantovano ha più volte annunciato un accordo con lo stato anatolico anche per attuare efficaci misure di contrasto contro l'immigrazione irregolare. Il problema è che dalla Turchia scappano i kurdi, e in questo caso fermare le navi significa ricacciare i profughi nelle mani del loro aguzzino. «Il governo turco utilizza il traffico di immigrati anche come strategia di "pulizia etnica" dei kurdi - denuncia Dino Firullo dell'associazione Azad - ma è chiaro che è disposto ad utilizzare la sua forza militare anche come operazione di immagine nei confronti dell'Europa». Anche la portavoce in Italia dell'Acnur, l'agenzia dell'Onu che si occupa dei rifugiati, sottolinea: «Bisogna evitare - dice Laura Boldrini - di ricorrere a qualsiasi metodo che metta a repentaglio la sicurezza dei civili». Un monito «contro chi si vanta di aver approvato un emendamento che permette l'intervento della Marina militare contro le carrette del mare», viene dal responsabile immigrazione dei Ds, Giulio Calvisi.
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