ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su il manifesto
(Sezione:  Politica  Pag.   6  )
Mercoledì 5 Marzo 2003

ANDREA COLOMBO

 

Procura nazionale cercasi

Un coro di politici e procuratori chiede l'istituzione di una procura centralizzata per coordinare le inchieste sul terrorismo.
Il procuratore antimafia Vigna: «L'organismo più indicato sarebbe la procura nazionale antimafia, che già esiste»


 

ROMA Accordo generale, almeno sulla carta, e con pochissimi distinguo. Il coro unanime di politici e procuratori ripete che occorre centralizzare le indagini sul terrorismo, creare una procura nazionale apposita. O magari appoggiarsi a quella già esistente, la Dna che coordina le attività antimafia. Lanciata dopo la tragedia del treno Firenze-Roma dal presidente della commissione di controllo sui servizi Enzo Bianco e dal Pg di Torino Giancarlo Caselli, l'idea era stata messa in campo già nel '99, dopo l'omicidio d'Antona, dal procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna. Che oggi la riprende e aggiunge un particolare significativo: dal momento che una superprocura c'è già, ed è quella da lui guidata, perché non affidarle anche il compito di dirigere le inchieste sull'eversione armata? «La Dna - sottolinea Vigna - ha un sistema informatico che già raccoglie le notizie delle 26 strutture distrettuali cui è affidato il compito di indagare sul terrorismo. Inoltre, soprattutto nel terrorismo internazionale, vi sono collegamenti con le organizzazioni criminali. L'organo più indicato sarebbe quindi la Dna, una struttura già esistente, per mettere a punto la quale ci sono voluti dieci anni».

L'ipotesi di Vigna (sostenuta anche da Caselli) piace molto ai Ds, che del resto avevano già presentato al senato una loro proposta di legge in questo senso. «Affidare alla Dna una funzione di coordinamento e impulso delle indagini - giura il diessino Massimo Brutti - è una soluzione del tutto ragionevole. C'è un nostro disegno di legge che da mesi attende di essere discusso. Perché non si riesce a fare un passo avanti?». L'idea piace assai anche ad all'ex pm di Mani pulite Antonio Di Pietro. Approva il progetto anche Enrico Di Nicola, procuratore capo di Bologna, una delle procure che, con Roma e Firenze, si occupa delle indagini sull'omicidio Biagi. Sarà per questo che Di Nicola suggerisce di sottrarre alle competenze eventuali e future della propcura antimafia prorpio il caso Biagi? «Il coordinamento tra Bologna, Firenze e Roma - assicura - già c'è, sta funzionando bene e si sta rivelando molto utile».

Ma qualche esitazione di fronte all'idea di raddoppiare il potere di una già potentissima centrale come la Dna, esiste. Da destra sono il forzista Taormina e l'an Fragalà a bocciare anche solo la procura nazionale antiterrorismo, figurarsi l'accorpamento con l'antimafia. «Comporterebbe dei rischi per la democrazia assolutamente sproporzionati rispetto ai pochi vantaggi che potrebbe arrecare», afferma Fragalà, e non è che gli si possano dare tutti i torti. Nel centrosinistra è Nando Dalla Chiesa a sponsorizzare la procura nazionale, ma non il suo assorbimento nella Dna. Il governo, per bocca del sottosegretario Mantovano, non prende partito. si limita a confermare che «l'esigenza di coordinare gli uffici interessati», effettivamente c'è. Aggiunge che qualche seria resistenza arriva proprio dall'interno della magistratura.

Qualcosa in più dirà forse il ministro degli Interni Pisanu, nei suoi interventi di oggi pomeriggio al senato e alla camera. Il dibattitto non si profila particolarmente arroventato, anche perché il centrodestra ha evitato le sparate sulla contiguità tra protesta sociale e terrorismo che avevano seguito l'uccisione di Marco Biagi. Persino il sottosegretario forzista Tortoli, quello che lunedì aveva parlato della Toscana come di «un buco nero delle democrazie occidentali» ha riconosciuto ieri, non di avere esagerato, e quando mai, ma almeno di «essere stato un po' inopportuno».

Da destra nessuno spara ad alzo zero, ma le frecciate al curaro, quelle invece abbondano. E vengono dalle fonti più disparate e a volte inopportune. Dal secondo cittadino dello stato Marcello Pera, per esempio, che, reso il doveroso omaggio all'agente ucciso domenica, si lancia contro «una criminalità politica minore quanto agli effetti, ma ugualmente pericolosa se prolungata, che assalta sedi sindacali, sedi di partiti, sedi di associazioni». La stessa musica, ma con minore rozzezza (ed è tutto dire) suona il presidente di Confindustria D'Amato. Vuole «un fronte unito senza indulgenze contro il terrorismo». Già che ci si trova esalta la «cultura del dialogo e del confronto». Traduzione operativa: «Non riconoscendo la controparte, non dialogando con toni civili si contribuisce a creare quella tensione che diventa il brodo di coltura in cui il terrorismo può sperare di trovare collusioni, anche se poi magari non le trova». Un bel po' contorto, ma il significato è che chi sceglie il conflitto duro alimenta le speranze dei terroristi. Dunque, in un modo o nell'altro, si rende corresponsabile della loro esistenza. Geniale.


 

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