INTERVISTA CON IL PROCURATORE GENERALE
«La classe forense ha scelto il silenzio, e questa è una protesta che a me non piace: il silenzio non ha mai giovato a nessuno. All’inaugurazione avremmo avuto bisogno della voce di coloro che quotidianamente si confrontano nella funzione di difensori. Così non sarà, e mi dispiace». Il procuratore generale Vincenzo Galgano tocca subito il nervo scoperto della protesta decisa dagli avvocati napoletani: loro, stamattina, nel Salone dei Busti di Castelcapuano, non si faranno vedere. È la prima volta di Galgano Pg: ma a rovinare questa giornata che segna l’avvio del nuovo anno giudiziario, e ad appesantire un clima che - almeno sulla carta - dovrebbe essere solenne e celebrativo, c’è lo schiaffo dell’avvocatura.
Come giudica questa assenza?
«È chiaro che il funzionamento della macchina giudiziaria ha gravi lacune; ma è altrettanto chiaro che solo dal confronto si riesce a uscire da questa situazione».
Protesteranno anche i magistrati, con la Costituzione in mano...
«Non riesco a vedere alcun motivo di critica in una protesta così civile e misurata».
Il Parlamento discute l’istituzione di una Commissione d’inchiesta su Tangentopoli: una proposta che investe direttamente l’operato dei magistrati. Qual è il suo punto di vista?
«Il Parlamento ha esercitato una funzione che gli è propria. Siamo consapevoli delle polemiche, ma non ci lasciamo coinvolgere. Credo tuttavia che la conoscenza non possa che produrre effetti positivi per tutti: più si sa e meglio è».
Anche il sottosegretario Mantovano ha sottolineato come i tempi di attesa della giustizia siano troppo lunghi. Che ne pensa?
«Su questo argomento si è detto e scritto sempre moltissimo; ma sul concetto di ”durata ragionevole”ci sarebbe da meditare. Più in generale, c’è bisogno di mezzi e di professionalità. Ma soprattutto di impegno morale per risolvere i problemi dolorosi dei cittadini. A mio parere, comunque, i procedimenti oggi sono complicati da un numero di adempimenti enormi, per la maggior parte esclusivamente formali»,».
Procuratore, qual è lo stato della giustizia nel distretto?
«È malata, ma non ad uno stadio terminale. Bisogna invertire la rotta, e inziare a camminare, anche se in salita. La verità è che la giustizia soffre di mali di cui è responsabile solo in minima parte, e soffre della mancanza di controlli nella pubblica amministrazione».
Anche quest’anno sull’inaugurazione dell’anno giudiziario gravano le ombre del «caso Napoli».
«Parliamo di una vicenda della quale è competente il Csm, le cui procedure garantiranno tutti i protagonisti. Non entro nel merito della questione: sarà l’organo di autogoverno a stabilire se vi siano le situazioni di incompatibilità adombrate, se debbano essere rimosse e in che modo. I magistrati, comunque, devono fare sempre il proprio dovere: anche in una situazione di tensione e anche quando non sono d’accordo con il capo dell’Ufficio».
Resta ancora aperto il capitolo dell’edilizia giudiziaria. Ci sarà il trasferimento del civile al centro direzionale?
«La nuova cittadella giudiziaria non mi pare eccezionale. Anzi, per certi versi, presenta incovenienti gravissimi. Ma dobbiamo rassegnare a lavorare qui, in un Palazzo alto, vulnerabile, dagli spazi irrazionali. Ma è l’unico che abbiamo, e ha bisogno di una continua manutenzione. Diciamo che siamo affidati alla protezione celeste. Non so fare previsioni sui tempi, ma il trasferimento del civile è inevitabile».
Esiste anche a Napoli un rischio terrorismo?
«Il rischio c’è. Ma le forze dell’ordine si sono organizzate per fronteggiarlo. D’altro canto a napoli c’è stata la prima sentenza contro una cellula integralista islamica, anche se non ancora definitiva».
Quale episodio della cronaca recente l’ha colpita di più?
«Non si può tacere l’amarezza per la morte di un 13enne ucciso in quelle circostanze. Ma un attimo di riflessione si pone per quello che è venuto dopo, per come quel fatto è stato usato, in un modo o nell’altro. E questo provoca scoramento».
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