ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su IL MATTINO (Sezione: Pag. ) |
Martedì 14 giugno 2005 |
r. ind.
Fini non si dimette, in An scoppia la bufera
Gianfranco Fini fa sapere da Lussemburgo che non si dimetterà dopo la sconfitta che ha subito nei referendum per la procreazione assistita. «Non ci penso neanche, questo è poco, ma è sicuro», dice il leader di Alleanza nazionale e ministro degli Esteri. Ma la crisi si apre comunque ai vertici del partito. Perché se Fini non si dimette, lo fa uno dei suoi vice all’interno di An, il ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno. «Ho scritto al presidente Fini per rassegnare le mie dimissioni da vicepresidente di An», annuncia Alemanno. Quella del ministro dell’Agricoltrura è la prima conseguenza politica dell’esito referendario. Non è un caso che il ministro il suo annuncio lo faccia proprio dalla sede del Comitato «Scienza e Vita» che si è battuto per l’astensione ed ha vinto. «Tutti ora dobbiamo metterci in discussione: non si può far finta di niente», scrive Alemanno nella lettera di dimissioni che ha inviato a Fini. E aggiunge: «La mia coscienza mi dice che tutto il vertice del partito deve rimettersi in discussione». E propone l’apertura di un grande dibattitto interno. Alemanno non è il solo a dimettersi dagli incarichi di partito. Subito dopo di lui lo fa anche Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno, tra i più sconcertati dalla presa di posizione di Fini sul referendum. Le dimissioni di Alemanno e di Mantovano rappresentano un passo difficile da ignorare, anche in vista dell'ufficio di presidenza convocato per domani e dell'assemblea nazionale del 2 e 3 luglio. Ancora, le dimissioni di Alemanno, leader di Destra sociale, minano l'equilibrio raggiunto al vertice del partito con il cosiddetto triunvirato, composto oltre che da Alemanno anche da Ignazio La Russa e Altero Matteoli. Questi ultimi due restano schierati con Fini. «La leadership di Fini non è in crisi», assicura Matteoli. E non è in discusione neppure per Ignazio La Russa, vicepresidente vicario di An. «Non si tratta ora - dice La Russa - di mettere in discussione la leadership di Alleanza nazionale, ma di trovare le convergenze necessarie per far crescere una destra sempre più moderna e adeguata alla società del nuovo secolo. E allo stesso tempo, se si vuole davvero superare le correnti interne, individuare anche quali regole sono da rispettare tassativamente senza bisogno di dover far ricorso nuovamente al correntismo». Con Fini si schiera anche il viceministro alle Attività produttive, Adolfo Urso, che commentando le dimissioni di Alemanno, spiega che se l'iniziativa «vuole mettere in discussione la leadership di Gianfranco Fini, allora siamo assolutamente contrari». Il ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, «esclude» che il risultato del referendum possa avere ripercussioni ai vertici del partito. E non discute la leadership di Fini Maurizio Gasparri che però sostiene che in An c’è bisogno di «maggiore dialogo». La pensa così anche Italo Bocchino: «Nel partito c’è malessere perché manca il dibattito». Non risparmia Fini l'europarlamentare Adriana Poli Bortone. Per il sindaco di Lecce il fallimento del referendum «è il fallimento di un'intera classe politica di Alleanza nazionale che non ha avuto una sola parola sulla «libertà di coscienza» proclamata all'improvviso dal presidente nazionale. An - incalza Poli Bortone - ormai da tempo è priva di una guida politica, intendendo per guida la maggior parte della classe dirigente periferica e nazionale, che non ha saputo o non ha voluto mantener fede alle tesi di Fiuggi ed esser coerente alla Destra dei valori». E mentre il ministro della Salute, Francesco Storace, dice di non sapere della decisione di Alemanno. «Vorrà - dice - favorire una discussione». Con Alemanno si schiera Salvatore Ronghi, vicepresidente del Consiglio regionale della Campania. «È giusta - dice - la posizione di Alemanno che si è dimesso da vicepresidente per avviare un dibattito costruttivo all’interno di An».
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