ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su IL MATTINO (Sezione: Pag. ) |
Domenica 3 luglio 2005 |
CLAUDIO SARDO
Tra insulti e grida nasce l’opposizione interna
I più stretti collaboratori di Fini giravano per i corridoi dell’Ergife assicurando che «Gianfranco ha messo in conto anche di farsi da parte». O vincerà la partita con un risultato che non lascerà dubbi oppure si dimetterà da presidente. La misura della vittoria l’ha indicata lui stesso nella relazione: «D’ora in poi guiderò il partito e sceglierò gli uomini senza più tener conto delle correnti». Messaggio che riguarda non solo gli incarichi di partito, ma anche le candidature nei collegi. Una minaccia, insomma, che mina la sopravvivenza stessa delle correnti e, al tempo stesso, indebolisce la loro capacità di tenuta in un’assemblea nazionale di 500 persone. Minaccia doppia per le correnti più grandi, Destra protagonista e Destra sociale, visto che Fini ha deciso di affidare il dipartimento organizzazione, in qualche modo il ruolo di numero due, ad Altero Matteoli, fino a ieri capo della componente più piccola (Nuova alleanza). Ma tra i paradossi del giorno, in cui Fini ha dichiarato guerra alle correnti, c’è anche l’immagine della pausa-pranzo. Fini, seduto al bar dell’albergo, chiedeva notizie sui tempi della ripresa e segnalava il ritardo. Ma, a pochi metri di distanza, continuava la frenetica girandola di consultazioni tra i capi corrente. Alla fine è stato messo nero su bianco un ordine del giorno comune tra Destra protagonista (La Russa e Gasparri) e la Destra sociale (Alemanno e Storace, a cui sono uniti in questa fase Mantovano e Buontempo). Non contiene una sfiducia a Fini. Anzi, gli dà il via libera sugli organigrammi e approva la lotta al «correntismo». Ma è comunque un freno al potere solitario del capo, una richiesta di collegialità, una critica per lo scarso funzionamento degli organi di partito. E l’ordine del giorno dispone sulla carta della maggioranza assoluta. Non è chiaro, però, come Fini reagirà, se proverà a non metterlo in votazione. I suoi dicono: «Il voto decisivo di oggi è sulla relazione di Fini. Si comincerà da lì. E ciascuno dovrà dire sì o no al presidente». Sarà un voto per appello nominale. Come quello voluto da Francesco Rutelli nell’assemblea federale in cui la Margherita ha bocciato il listone ulivista. Ed è quasi certo il voto di La Russa (ieri ripeteva ai più insofferenti tra i suoi: «Piegati giunco finché passa la piena») e Gasparri a favore della relazione. Anche se ieri hanno chiesto a Fini qualche correzione in sede di replica. Con il voto della componente di Matteoli, la maggioranza per Fini appare già in cassaforte. Mentre la Destra sociale, che ora, dopo la battaglia sul referendum e dopo l’arrivo di Mantovano, si è ribattezzata «Destra ritrovata», è orientata verso il voto contrario (o l’astensione). In fondo, lo scontro interno era cominciato così. Con Fini che aveva annunciato i tre Sì sui quesiti della fecondazione assistita. E con la contestazione interna, la denuncia di tradimento dei «valori cattolici», da parte di Alemanno e Mantovano. Ieri Fini, mettendo in primo piano la guerra alle correnti, ha cercato di spostare il fronte politico. E, con fatica, la Destra sociale ha aggiustato il tiro. Ha tuttavia evitato la temuta frattura al suo interno. Nei giorni scorsi, Storace si era mostrato freddo verso Alemanno. Aveva tentato di costruire un ponte verso Fini. Ieri, però, è stato il primo a dichiararsi deluso della relazione. Ha firmato il documento Alemanno-Mantovano (sull’identità della destra da ricostruire). E, una volta salito alla tribuna, ha detto in faccia a Fini: «Sbagli a cercare la divisione». È stato uno dei momenti più tesi della giornata. A Fini è scappata la parolaccia al microfono: «Cazzo... ho detto venti volte che voglio l’unità». E la tensione è rimasta. Alemanno ha messo in guardia Fini da chi oggi sta con lui, ma è «assetato di bottino nel territorio». E, quando Urso è stato interrotto, stava rintuzzando: «Non è vero che chi sta con Fini è assetato di potere». Anche Storace ha dato man forte ad Alemanno: «Mi ricordo le telefonate che mi facevi fino a poche settimane fa». L’assemblea nazionale cambierà gli equilibri di An. Potrebbe sancire, per la prima volta da Fiuggi, la nascita di un’opposizione interna. «Sarebbe un’opposizione del 30%» ha avvisato Alemanno. E Storace ha aggiunto il carico delle sue dimissioni da ministro: «Se finisco in minoranza, appena va in porto il decreto sui farmaci, lascio l’incarico di governo». Dopo lo strappo di Marco Follini, un’altra scossa di terremoto per la Cdl. Non è detto che sia più lieve. Anche se ieri Berlusconi era soddisfatto per la solidarietà che Fini gli ha manifestato, dopo la richiesta Udc di un cambio di leadership.
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