ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su IL MATTINO (Sezione: Pag. ) |
Martedì 19 luglio 2005 |
Claudio Sardo
Conti in sospeso e partito unitario
«Era una scelta inevitabile per un presidente del partito». Se non avesse umiliato i colonnelli, che lo avevano dileggiato e oltraggiato con quelle chiacchiere da bar, giunte all’orecchio di un insospettato cronista, Gianfranco Fini si sarebbe sentito un leader dimezzato. Anzi, finito. Bollato ormai come inetto e tenuto sul piedistallo solo perché An non può fare a meno del suo appeal elettorale. Così, la fredda ira del capo si è scaricata sullo stato maggiore, azzerando vicepresidenti e coordinatori regionali, cioè la trama del potere correntizio: «Se qualcuno contesta la mia leadership, ora si faccia avanti e lo dica apertamente». Ma, se nessuno contesta, «il partito ripartirà» senza correnti. Fini ha già pronto il colpo successivo: sì al partito unitario della Cdl prima del 2006. Ci aveva già provato all’assemblea nazionale del 2 e 3 luglio. E non gli era andata bene. Dopo il violento j’accuse ai colonnelli, dopo aver definito «metastasi» le correnti, Fini ha rischiato di finire in minoranza sul documento della «Destra dei valori», polemico con la scelta referendaria del vicepremier. E fu costretto a negoziare un compromesso con quegli stessi colonnelli. Dell’iniziale atto di imperio di Fini era rimasta in piedi solo la nomina di Altero Matteoli a capo dell’organizzazione. Ma tutto è finito nella saletta della Caffettiera, bar napoletano trapiantato nella romana piazza di Pietra. Dove Matteoli e La Russa si sono lasciati andare a giudizi pesanti su un Fini tremante, incapace di trattare con Berlusconi, insomma inadatto a guidare da solo il partito. Ora l’incarico di Matteoli è saltato. E con esso i poteri delle correnti. Ma ciò non assicura che le maldicenze su Fini siano cancellate. Mentre non ci sono dubbi sui malumori, le paure, il crescente sconcerto nel partito, che da qualche anno passa di sconfitta in sconfitta e che i tre sì di Fini hanno privato pure della vittoria referendaria. Ieri Teodoro Buontempo alzava le braccia: «Ormai ci vuole lo psicologo». Publio Fiori commentava: «Se Fini si ferma ancora a metà strada, An è finita per sempre». Mentre i dirigenti nazionali balbettavano, si chiudevano nel silenzio, invocavano la «chiarezza» o il «confronto politico». I colonnelli bastonati non hanno ancora deciso il da farsi. Anche perché sono pur sempre in competizione tra loro. Destra protagonista, la corrente di Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri, è da sempre la più vicina a Fini. Negli ultimi tempi, però, è la più castigata, a cominciare dalla traumatica uscita di Gasparri dal governo. E, all’assemblea nazionale, non ha risparmiato critiche aspre al leader. La più ricorrente: «Gianfranco, non ha più fiducia nel partito». L’altro polo è la Destra sociale di Gianni Alemanno e Francesco Storace. Con la battaglia referandaria si è allargata a Buontempo, Mantovano, Fiori. All’assemblea nazionale è stata sul punto di costituirsi come opposizione interna. Alemanno ha cercato questa soluzione, ma Storace ha fatto l’elastico con Fini per evitare spaccature. Nel fine settimana, la Destra sociale si riunirà ad Orvieto per il convegno annuale. È contraria ad un’accelerazione sul partito unico. Al massimo accetterebbe una federazione tra Forza Italia, An e Udc. Ora, però, attende le mosse di Fini. E quelle di La Russa e Gasparri. La leadership non è in discussione, ripetono tutti ogni giorno. Ma anche l’insistenza genera dubbi. E Fini, il leader della svolta di Fiuggi, ha capito che la prova muscolare non basta. Da sola, senza politica, può addirittura essere controproducente, come è accaduto quando ha dovuto chiedere «scusa» per aver usato la parola metastasi. La sfida ora è il partito unitario della Cdl. Il partito subito, come hanno chiesto ieri Pier Ferdinando Casini e Marcello Pera. «Prima del 2006 o mai più» hanno detto sfidando Berlusconi. Fini è pronto a dire sì. A dire il vero, l’ha già detto. Perchè, prima del patatrac alla Caffettiera, il vicepremier aveva affidato un preciso messaggio a Matteoli: «Al convegno del gruppo di Todi devi dire con chiarezza che il partito unico deve nascere prima del 2006». Del resto, su questa linea Matteoli era già schierato con Gasparri e Urso. Alla direzione del 28, comunque, non si parlerà del partito, di correnti e di incarichi. I più stretti collaboratori di Fini l’hanno già annunciato: «Le nomine di competenza del presidente saranno fatte senza consultazioni». Si discuterà, invece, di casa comune dei moderati (con la nomina dei 20 delegati alla costituente del partito unico) e di legge elettorale. L’Udc chiede la riforma sul modello tedesco come condizione per la confluenza immediata. Fini è disposto a spingersi fino ad una proporzionale con premio di maggioranza. Ma la chiave è nelle mani di Berlusconi. Finore il partito unico da lui disegnato sembrava una sovrastruttura, da utilizzare in campagna elettorale, ferme restande le liste separate di Forza Italia, An e Udc nella quota proporzionale. Ora gli alleati hanno fatto il rilancio. E partito unico subito vuol dire nuovo leader. Scelta pesante per Berlusconi. Potrebbe diventarlo anche per Fini, se alla fine la laedership della Cdl toccasse a Casini. In quel caso, il contraccolpo in An sarebbe imprvedibile.
|
vedi i precedenti interventi |