ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su IL MATTINO (Sezione: e Pag. ) |
Venerdì 22 novembre 2002 |
LUCIANO PIGNATARO
Scontro al Senato tra Biondi e il capogruppo della Lega
Lasciare libertà di coscienza ai parlamentari. Berlusconi non ha altra scelta dopo l’altolà di Fini che punta a fare il pieno di consenso tra il suo corpo elettorale come ha lui stesso spiegato da Vespa annunciando il no ad ogni proposta di indulto e amnistia. Poi la decisa virata leghista sulle posizioni di An espressa in prima persona proprio dal ministro Castelli. In questo clima di nervosismo all’interno della maggioranza, che lo scontro al Senato tra Biondi e Cè ben sintentizza, a Berlusconi non resta altro che il «sciogliete le righe». «Il mio pensiero - dichiara il premier - è che su certi aromenti su cui si possano registrare sensibilità diverse si debba lasciare libertà di coscienza. Essere parte di un’alleanza non siggnifica essere d’accordo su tutti gli argomenti e significa anche mantenere sensibilità diverse. Ho sempre detto che se eventualmente si ponesse il problema, questo deve essere lasciato alla libertà di coscienza di ciascuno».
Il clima creato dalla visita del Papa sfuma dunque in poche ore. Prima le dichiarazioni di Fini, ribadite ieri da Mantovano, poi la dura precisazione dello stesso ministro Castelli: «Mi corre l’obbligo di ribadire con chiarezza che a mio parere varare un provvedimento o indulto adducendo la ragione per cui lo Stato non è in grado di custodire i detenuti sarebbe una resa e una ragione non fondata sui fatti. Credo che il Parlamento sta impegnando troppo tempo in un dibattito che, stante il quorum necessario di due terzi, non porterà da nessuna parte».
Insorge in aula Biondi secondo cui il ministro, ricordando la disperazione di una vittima, ha trasformato un problema di carattere generale in una indignazione ed in un rancore giustificato in chi ha subìto il reato: «Se si stabilisse questo criterio - dice - l’esercizio del monopolio della forza diventerebbe l’esercizio del monopolio legittimo della vendetta che il privato può provare, ma lo Stato mai». Parole che creano l’incidente: «Non è più accettabile - afferma il capogruppo della Lega Alessandro Cè - che parte della maggioranza ogni volta che viene in aula di fatto toglie la fiducia al ministro Castelli» e chiede un chiarimento nella maggioranza. Poi rivolto a Biondi: «O lei fa parte della maggioranza e difende il ministro della Giustizia oppure chiede al proprio capogruppo di proporre un chiarimento politico. Siamo stanchi di sentire dire in questa aula cosa diverse da quelle che Forza Italia ha detto in campagna elettorale». Controreplica di Biondi: «Sono oroglioso di critiche che costituiscono un modesto e scoperto espediente polemico per dirottare su di me, un malessere e un ammonimento che aveva altri destinatari istituzionali ai vertici del governo». Biondi è difeso da Elio Vito, capogruppo di Forza Italia alla Camera: «Alessandro Cé è intervenuto in aula in modo polemico contro Sirchia e nessuno ha avuto nulla da ridire».
Una baruffa parlamentare insomma rivelatrice della impossibilità di avere la maggioranza qualificata sull’indulto e che allontana sicuramente la grazia per Sofri su cui lo stesso Berlusconi si era espresso con favore.
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