DARIO DEL PORTO L’INTERVISTA. «I TERMINI SONO SCADUTI PER COMPLETARE LE CARTE DELL’ACCUSA»
«Quando l’ho scarcerato ho provato un senso di impotenza»
Il giudice che ha firmato il provvedimento: Mantovano si sbaglia, le leggi non funzionano
«Cosa ho pensato mentre firmavo l’ordinanza di scarcerazione per Mario Fabbrocino? Ho avvertito lo stesso senso di impotenza di tante altre volte. Le leggi hanno fatto diventare difficili i processi semplici ed ingestibili quelli complessi». Il giudice Alfonso Chiliberti, presidente della nona sezione penale del Tribunale, spiega le ragioni che lo hanno obbligato ad adottare il provvedimento che ha sancito la scarcerazione per decorrenza dei termini di Mario Fabbrocino. Nelle sue parole non c’è polemica ma la voglia di chiarire tutti i passaggi della vicenda.
Presidente Chiliberti, nell’ordinanza di scarcerazione è riferito che i rinvii del processo non sono «ascrivibili alla difesa ma alla necessità del pm di completare gli atti del fascicolo». Questo cosa vuol significare?
«Innanzitutto va ricordato che il processo costituiva uno stralcio di un altro procedimento molto imponente. Per poter celebrare il giudizio abbreviato dovevano essere depositati tutti gli atti del fascicolo, dunque il pm ha avuto l’esigenza di cercare questa documentazione e c’è stata la necessità di procedere ai rinvii. Non conosco e non mi permetto di entrare nei fatti della procura, i pm a Napoli sono gravati da centinaia di processi, non solo da quello nei confronti di Mario Fabbrocino, che peraltro si articolava in moltissimi atti. Dico solo che il fatto storico è questo: per completare il fascicolo si sono superati i nove mesi previsti come tetto massimo di custodia cautelare».
Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano è stato molto severo con i giudici napoletani.
«Ho letto l’intervista, e devo dire che si sbaglia. Non è vero che a Napoli ci sono giudici a sufficienza, anzi è vero il contrario. Io stesso ho scritto al presidente del Tribunale per sottoporgli il numero di procedimenti in carico alla mia sezione. Di recente abbiamo concluso il processo ”Nemesi”, con 90 imputati, e abbiamo impiegato quattro anni per celebrarlo. Abbiamo definito il ”fiscogate”, il processo ”Ltr” e altri ancora di notevole spessore. Nel 1983, quando ero relatore del primo maxiprocesso alla Nuova Famiglia, un elenco di 100 imputati aperto proprio da Fabbrocino, finimmo in un mese. Ma allora i maxiprocessi erano pochissimi e le leggi differenti».
Sul processo Fabbrocino ha influito anche il problema delle videoconferenze?
«Sicuramente è stato un nodo che abbiamo dovuto affrontare per la data dei rinvii, fissati a seconda della disponibilità delle aule. Il legislatore ha reso obbligatoria la videoconferenza per gli imputati sottoposti al carcere duro, ma non ha previsto i congrui mezzi e le strutture per farlo nei tempi richiesti».
Lei ha parlato di leggi che non funzionano, ma anche su questo il sottosegretario Mantovano non sembra d’accordo.
«Guardi che non faccio questione di destra o sinistra. Dico solo che le attuali, norme proposte da diversi schieramenti politici, hanno imbrigliato i magistrati in pastoie che non fanno funzionare il sistema. La realtà è questa, il destino dei processi sarà sempre lo stesso. E io, come giudice, non posso far altro che applicare la legge, per Mario Fabbrocino come per un innocente che si trova in galera».
|