ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO (Sezione: Pag. ) |
Domenica 12 ottobre 2003 |
di ANNA MARIA SERSALE
«Videogiochi violenti, scuola del crimine»
ROMA - Accusati di essere una scuola del crimine e di produrre dipendenza, i videogames con una interrogazione finiscono in Parlamento dopo la denuncia di un’Associazione di volontariato. Ageing Society chiede di «vietare la vendita ai minorenni» dei giochi violenti e la Federcasalinghe in rivolta annuncia lo «sciopero degli acquisti» nel periodo di Natale: «Perchè - sostengono - istigano all’uccisione, al furto e all’uso delle prostitute». Uno dei video incriminati, in un’ipotetica città del vizio, chiede al giocatore di calarsi nei panni di un malavitoso e di rubare un’auto. Un altro spinge a fare sesso con le prostitute. Sullo schermo appare un’auto che sobbalza. E fuori campo una voce dice «pupa, tu sì che sai quello che fai». Vince chi ammazza la donna e riprende i soldi che le aveva dato. Nei games c’è di mezzo anche la mafia. Spinge a tirare fuori gli aspetti peggiori di sé per fare carriera nel crimine. Qualche esempio? Tagliare la gola a chi ha rubato cocaina al clan, gestire un giro di prostituzione, provocare un pestaggio della polizia contro operai in sciopero in un cantiere, ammazzare per vendetta e via di questo passo. Eppoi, ci sono i videogames a sfondo sessuale che prevedono varie opzioni sull’abbigliamento delle signorine in campo, dal bikini minimissimo al nudo integrale. Tutto virtuale e quindi tutto innocuo? «Neanche per sogno». Dagli psicanalisti ai sociologi la condanna «di certi messaggi estremi» è categorica e non riguarda il videogame in quanto tale, ma i contenuti. Allora, si introduce la censura? Non è una questione di censura. Però, come per la tv, si chiede di non produrre «programmi spazzatura» e di non scendere così in basso. Eppoi, c’è il problema dei minori. Maria Burani, presidente della Commissione bicamerale per l’Infanzia, invita il Parlamento a discutere un provvedimento che vieti la vendita di roba del genere a chi ha meno di 18 anni. Il Governo ha già deciso di andare avanti in questo senso: «Lo Stato - sostiene il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano - stabilirà un divieto e una sanzione, ma la repressione non basta. Non è un problema di controllo del territorio, su un tema del genere, quello della violenza dei giochi, è importante la prevenzione. E un ruolo importante spetta comunque alla famiglia». Dunque, il divieto da solo non basta. Che cosa possono fare le famiglie? «Non esiste una malattia da videogioco - sostiene lo psicoanalista Alberto Angelini - Esistono programmi belli e brutti. Il videogioco in sé non fa male, così come non fanno male la tv o il cinema. Dipende dai messaggi, dai contenuti. Ma chi decide quali siano i messaggi “giusti”? La censura non risolve. Come si fa per altri problemi sociali, ci vorrebbe un osservatorio di esperti. Quanto ai genitori, dovrebbero formare nei figli una coscienza critica». «Ciò che trasmettono questi games è talmente negativo, che vanno banditi», afferma Emilia De Rosa, psichiatra dell’infanzia alla Cattolica di Roma. Intanto, la febbre dei videogames dilaga. Il 22% degli adolescenti sta abitualmente alla “console” e il 69% dei bambini tra gli 8 e i 14 anni s’incolla ai videogiochi per ore. Contro i giochi violenti si sono mobilitate le associazioni dei genitori. C’è chi è arrivato a dichiarare che i «programmatori dovrebbero essere lapidati» anche per i risvolti che coinvolgono la salute. Due anni fa un ragazzino, stordito dalle stimolazioni luminose, intense e intermittenti, ebbe delle convulsioni epilettiche. Non è un caso del tutto isolato.
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