ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO (Sezione: Pag. ) |
Mercoledì 15 Ottobre 2003 |
di ANNA MARIA SERSALE I minori alla console/Il Movimento genitori e la Commissione bicamerale per l’infanzia chiedono l’obbligo di un bollino rosso con il divieto
«Certificheremo i videogiochi non violenti»
ROMA - E ora arrivano gli eroi buoni. I colossi del videogame cominciano a bussare alle porte degli psicologi. Chiedono alle équipe di esperti di valutare il gioco e di certificarlo prima di lanciarlo su larga scala. «Un modo - spiega Giorgia Iannelli, direttore marketing della Atari Italia - per garantire le famiglie e dire che possono stare tranquille». L’iniziativa della Atari per ora riguarda solo ”Beyblad”, uscito da poco, ma è un primo significativo passo. A ciò si aggiunge il decalogo per i genitori. Tra i consigli, quello di installare la play station nel soggiorno e non nella stanza da letto, in modo da controllare tempi e contenuti. Le case produttrici non vogliono perdere quote di mercato, ma oltre ad Atari anche altri giganti dell’elettronica si stanno mettendo sulla stessa strada. Anche la Nintendo coinvolge gli psicologi ed è più attenta a ciò che lancia sul mercato. Certo, siamo lontani dalla deontologia che potrebbe dettare regole dall’interno, in attesa che lo Stato colmi quel vuoto legislativo che ha permesso di far arrivare sugli scaffali e nelle sale giochi passatempi che educatori e famiglie definiscono «scuole del crimine». Quanto alla Atari e alla Nintendo non sono tra i produttori di video più estremi, nel loro carnet hanno video “sparatutto” e ”picchiaduro”, storie di armi e di guerra, che perlomeno non premiano chi ammazza o chi diventa il gangster più efferato. «Ma basta per dire che non sono violenti?», gli insegnanti pongono la questione, preoccupati dell’eccessiva esposizione dei bambini a questo tipo di giochi. Intanto, il Movimento dei genitori e la Commissione bicamerale per l’infanzia hanno chiesto che su ogni video ci sia un bollino rosso che indichi in modo chiaro il divieto (il governo dovrà emanare un provvedimento). I produttori per ora indicano la fascia di età consigliata, ma il +12 o +18 (senza alcuna spiegazione) non sono direttamente comprensibili dagli acquirenti. Così, giochi come il Gta (Grand Theft Auto-Vice), che ha venduto 6 milioni di copie nel mondo, finisce anche nelle mani dei bambini. Immagini tridimensionali in una città stile Miami Vice fanno da sfondo alle imprese criminali del protagonista-giocatore, un boss mafioso, alle prese con scambi di droga e ammazzamenti. In conclusione, il giocatore vince e accumula punti quanto più riesce a calarsi nei panni del balordo che commette reati. Contro la «scuola del crimine» sono insorti genitori e magistrati. I politici hanno presentato interrogazioni in Parlamento e il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano l’altro giorno ha detto: «Lo Stato deve vietare la vendita dei giochi violenti». Intanto, il senatore Antonio Gentile, di Forza Italia, annuncia che presenterà un emendamento nella Finanziaria in discussione: «La repressione è una strada obbligata, ma ci vuole anche la prevenzione. Ecco perché è importante la proposta di defiscalizzare la produzione dei videogiochi educativi». Comunque, anche i produttori di videogames sembrano intenzionati a cambiare rotta, cominciando a valorizzare le creazioni adatte a tutti. Dal Giappone, per esempio, arriva “Kirby”, una piccola palla rosa che si batte contro i cattivi che vogliono rubare i sogni ai bambini di tutto il mondo. Un altro dei pochi videogiochi sottoposto alla valutazione degli psicologi. Dunque, basta con i giochi sanguinari.
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