ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO (Sezione: Interni Pag. ) |
Giovedì 1 Maggio 2003 |
dal nostro inviato ANTONIO DE FLORIO Il sottosegretario Mantovano e don Benzi a Chisinau Moldavia, l’ “esodo" di 700mila ragazze:
l’Italia aiuta chi vuole tornare a casa
CHISINAU — Irina, Elena e Maria hanno concluso il loro viaggio all’inferno, tornando in una vecchia palazzina a due piani, un tempo abitata dalla famiglia di un ufficiale russo del Kgb. Eughenio, 17 anni, ma ne dimostra 12, non è mai partito: è stato sfrattato, assieme ad altri tre ragazzi, da un tombino, dove la notte era meno fredda. Fra venti giorni ci sono le elezioni del sindaco di Chisinau, capitale della Repubblica moldava, e le autorità hanno saldato le chiusure dei tombini. Più di mille ragazzini che la notte trovavano ricovero nel ventre della città, erano un pessimo spot elettorale.
Eughenio e la sua banda dormono ora in una baracca di lamiera, in pieno centro, a pochi metri dalla discoteca Caligula: lì, ragazze come Irina, Elena e Maria, in slip e reggiseno, si vendono ai turisti turchi, greci e perché no italiani, per l’equivalente di una trentina di euro. Anche Eughenio, nel piazzale della "disco", rimedia qualcosa. Don Cesare Lodeserto di Lecce, che 4 anni fa è sbarcato qui come un marziano, le dà un buffetto sulla guancia e dice a Eughenio: «Domani venite dalle suore per un piatto caldo».
Benvenuti nella capitale dello Stato più povero d’Europa (ha un reddito pro capite, più basso di quello dell’Albania), un tempo Repubblica socialista e granaio dell’Urss. Il 60 per cento del suo bilancio, circa 150 milioni di dollari l’anno, si fonda sulle rimesse delle belle ragazze finite sulle nostre strade di periferia. Un affare gestito dalla mafia russo-moldava con metodi spicci nel reclutamento: sequestro di persona quando serve, nelle università come nelle campagne, con i genitori, a volte complici, e lo Stato che fa finta di niente. Al Dipartimento dell’immigrazione moldavo dicono che le giovani partite siano 700.000 in Europa, 150.000 solo in Italia. Che facciano le colf, le badanti o le prostitute non conta: l’importante è che mandino i soldi a casa. Contro la tratta delle donne e dei bambini che si prostituiscono si offre la massima disponibilità nei convegni: ieri, uno con don Oreste Benzi, è stato organizzato nel palazzo della Presidenza della Repubblica. E il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, sbarcato nella capitale moldava, ha spiegato che solo attraverso le quote, 500 ingressi lo scorso anno, è possibile entrare nel nostro Paese. E chi ha fatto notare al suo collega moldavo che una legge consente di cambiare nome e cognome quando si vuole, ha incassato la risposta: «Non mi risulta».
Don Cesare ha organizzato due centri di accoglienza a Chisinau: uno per le ragazze e uno per i bambini. E quattro "Lada" girano per la città distribuendo centinaia di pasti ogni giorno. «Grazie ad un finanziamento del Viminale — spiega don Cesare — accogliamo 11 donne, finite sui nostri marciapiedi e che sono volute tornare. Alcune avevano ottenuto il permesso in Italia, denunciando i loro aguzzini, e ora usufruiscono di una borsa lavoro. Noi, con la Fondazione "Regina Pacis", non vogliamo solo carità: vogliamo realizzare anche la formazione e il lavoro, coinvolgendo imprenditori italiani. Già una dozzina di loro ha deciso di investire qui».
Natasha, 30 anni, conosce otto lingue ed è la responsabile dei centri di don Cesare nell’Europa dell’Est. Presenta gli ultimi "acquisti". Sono una coppia di Verona, Stefano e Sabrina. Lui ha 34 anni ed è imprenditore edile con 130 dipendenti. Lei, 33, ed è consulente di una multinazionale americana. «Abbiamo visto in Tv — racconta Stefano — un servizio sui bambini di Chisinau che dormivano nei tombini. Io e Sabrina ci siamo guardati negli occhi e abbiamo deciso di fare una colletta con gli amici. Abbiamo riempito un Tir di cibo, medicinali e giocattoli e don Cesare, per i soldi, 10.000 euro, ha detto: "perché non li portate voi?". Siamo partiti in auto il Venerdì Santo e il giorno di Pasqua eravamo qui, in mezzo ai bambini moldavi».
Natasha, l’altro ieri, li ha accompagnati, per la distribuzione dei viveri, in Trasnistria, 50 chilometri a Sud di Chisinau, che si è proclamato Stato autonomo nel ’92 dopo una guerra civile. Nella piazza principale di Tiraspoli, la capitale, è sopravvissuta una squadra di Lenin. «Lì — spiega Paolo Sartori, funzionario dell’Interpol — trafficano di tutto: nel 2001 sono stati riciclati 584 milioni di dollari e il Pil dello statarello, dove sono conservate 15.000 tonnellate di munizioni della vecchia Armata sovietica, è di appena 84 milioni. Il ministro dell’Interno è ricercato nel resto d’Europa per l’omicidio di quattro giornalisti della Lettonia. Trafficano armi con tutti, anche con i ceceni. Si è parlato di rapporti persino con Bin Laden». Duemilacinquecento soldati russi stanno al "confine" con la Moldavia come forza di pace, ma da Mosca è arrivato l’ordine di tornare a casa. Al governo di Chisinau preoccupano più i secessionisti della Trasnistria che la tratta delle donne e dei bambini. Don Cesare non disarma: «Noi restiamo, la gente è con noi e ha voglia di cambiare».
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